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Faults

Regia di Riley Stearns vedi scheda film

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alan smithee

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Faults

di alan smithee
7 stelle

Ansel Roth gira gli States come un venditore di aspirapolveri, ma in realtà la sua attività è il frutto di un suo primo libro di successo, a cui in seguito ad una serie di sfortunati eventi economico-familiari, è seguito un vero e proprio tracollo abissale.

L’uomo era considerato un terapeuta della mente, ovvero un abile disintossicatore da dipendenze e intrighi coercitivi verso cui la società tende a farci dipendere come alcolizzati cronici.

Poi un matrimonio dolorosamente naufragato, la concessione dei diritti della sua folgorante opera d’esordio, divenuta una summa di portata biblica, alla moglie in fuga, hanno costretto Ansel a raschiare il fondo del barile, indebitandosi di brutto col suo agente per la pubblicazione del suo secondo libro, uscito e subito dimenticato da stampa e pubblico.

Nel riciclarsi come guru ed organizzatore di convegni sulla dipendenza da condizionamenti e scuole di pensiero, religioni o scuole di pensiero, l’uomo si imbatte in due anziani coniugi, intenzionati ad affidagli la cura della loro unica figlia Claire, completamente succube di una setta religiosa fanatica e invasiva che spolpa cerebralmente e finanziariamente i suoi adepti, fino a condurli ad azioni plateali come il suicidio collettivo.

Nel contempo Ansel è pedinato dallo scagnozzo del suo press agent, intenzionato a riavere immediatamente i soldi anticipati all’uomo, soprattutto in quanto ormai certo di non riuscire a riottenerli con i magri risultati delle vendite dell’opera.

Asserragliato nella stanza di un motel comunicante con quella dei balordi genitori della ragazza, Ansel dovrà dividersi tra la custodia della ragazza, che pare pure invaghirsi di lui, e la gestione del suo debito con il suo manager, sempre più determinato nella esazione del suo credito.

Ma nessuno è esente da colpe, come vedremo, e il gioco al massacro cerebrale, oltre che fisico, non si dimostra affatto quello che sembra in apparenza, divenendo il manipolatore succube del manipolato e viceversa.

La provincia americana così credulona, perbenista, predisposta e propensa a farsi lobotomizzare da predicatori interessati a tutt’altro che alla salvezza delle anime, è il teatro perfetto per un cinema a stelle e strisce indipendente che ricorda, per atmosfere e sferzante schizzata ironia, i primi Coen, ma anche tutto il cinema straniante e straniato del bizzarro, splendido Todd Solondz.

Pregevole e frizzante di humor nero condito di qualche sana, sanguigna scena pulp, Faults, lungometraggio d’esordio molto interessante di Riley Stearns, celebra le “colpe”, come da titolo originale, ma soprattutto i colpevoli, intenti ad affrontarsi in un gioco al massacro in cui la vittima condizionata e succube alla fine riesce a sfoderare il suo vero carattere e ad ottenere quello per cui ha sempre lottato: così come il nostro infingardo protagonista scroccone ed opportunista, riesce in qualche modo, suo malgrado, a risolvere la sua imbarazzante situazione nei confronti dei propri irrisoluti aguzzini.

Il regista sceglie, in modo a mio giudizio opportuno, di trincerarsi entro pochi luoghi chiusi ed oppressivi (stanze squallide od ordinarie di motel, il rifugio del manager-creditore incallito) entro cui riuscire a darci l’impressione di essere come carcerati alla ricerca di una boccata di ossigeno nuovo, e tralasciando correttamente la tentazione di sviare la materia sulle caratteristiche della setta, di cui si parla a fondo, ma che viene sempre mantenuta in sottofondo, evitando di addentrarsi nei meandri più eccentrici e peccaminosi del raggiro che essa sta infliggendo ai suoi più assidui ed irremovibili adepti.

La vicenda si intrica su se stessa nel rispetto di una certa suspence e di un certo divertimento, anche se alla fine le due vicende sporche si intrecciano una con l'altra forse con eccessiva disinvoltura, tanto da far presagire un finale col botto, che poi invece finisce solo per accontentarsi di restare coerente.

Entro un bel cast di nomi poco noti, Leland Orser, caratterista baffuto già notato in diverse occasioni, giganteggia nel ruolo stimolante e  schizzato del protagonista Ansel Roth, viso pesto e insanguinato, ma anche avvilito dal fallimento che lo segue con la puntualità ed il rigore di un'ombra ossessiva, perfetto qui a rendere l'uomo senza qualità tutto inganno e prevaricazione da astuzia; ne fa da contraltare opposto ed opportuno, il volto angelico e timoroso della giovane, ma veterana Mary Elizabeth Winstead - ottima interprete dalle lodevoli scelte, spesso per nulla scontate ma quasi sempre avvedute, soprattutto in termini di qualità artistica - ben si presta ad impersonare un personaggio erroneamente propenso a farsi guidare, ma in fondo lucidamente consapevole di quella che è la giusta opportunità per farle svoltare davvero corso di vita.

 

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