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Appunti per un film su Kafka - Nella colonia penale

Regia di Luigi Di Gianni vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Appunti per un film su Kafka - Nella colonia penale

di yume
8 stelle

Racconto filosofico di matrice dichiaratamente allegorica,in bilico tra reale e surreale, c’è molto del teatro cinematografico di di Straub- Huillet, in una trascrizione filmica del testo kafkiano in cui la fiction gioca un ruolo minimo ma fondamentale.

 

Un esploratore "… un grande studioso dell'Occidente, incaricato d'indagare i procedimenti penali nei vari paesi", arriva nella colonia penale di un paese non identificato per assistere all'esecuzione di una condanna a morte.

La pena è stata comminata senza processo (nella colonia penale " la colpa è sempre fuori dubbio") in seguito ad un'insubordinazione:

"Un capitano stamane ha presentato denuncia contro quest'uomo perché, essendogli destinato come attendente e dormendo davanti al suo uscio, si è addormentato durante il servizio. Lui infatti ha la consegna di alzarsi ad ogni batter d'ora e di fare il saluto davanti all'uscio del suo ufficiale: una consegna sicuramente non difficile, ma ben necessaria per mantenersi alacre nello svolgimento dei suoi compiti, sia di guardia sia di domestico. La notte scorsa il capitano volle verificare se l'attendente faceva il suo dovere: al suono delle due aprì la porta e lo trovò che dormiva, tutto raggomitolato. Allora prese lo scudiscio e lo frustò sul viso; e costui, invece di alzarsi e implorare perdono, afferrò il signore per le gambe, lo scrollò e si mise a gridare: " Butta via quella frusta, o ti mangio! "

 

Un ufficiale, faccia cerea e divisa dell’Armata Rossa, erede spirituale dell'antico comandante inventore della macchina per l'esecuzione, un superiore per cui nutre una fanatica adorazione (ha perfino piazzato un altarino con il suo ritratto sopra la macchina), accoglie il viaggiatore trattenendo a stento la gioia di mostrargli quel capolavoro:

“Eccola, vedrà”. E svela la macchina come si farebbe con una tela preziosa dipinta da un grande pittore.

"Questo processo e quest'esecuzione, che lei ora ha l'occasione di ammirare, ormai non trovano più, nella nostra colonia, chi li sostenga apertamente. Io ne sono l'unico assertore, così come sono restato solo ad incarnare l'eredità del nostro antico comandante".

 

Questo il background, chiamiamolo anche antefatto, l’incipit di un testo famoso ma troppo poco ricordato quando si parla dell’autore, pur essendo un testo chiave per decifrare quel mondo complesso e stratificato che Luigi Di Gianni mostra di aver colto a fondo, iniziando, come fa, con la lettura di una pagina chiarificatrice del pensiero di Kafka, mentre la piccola troupe si sposta in barca lungo le acque placide del Delta del Po:

 

“ Noi, visti con i nostri occhi macchiati di terra, ci troviamo nella situazione di un gruppo di viaggiatori ferroviari che hanno subito un sinistro in un tunnel, e precisamente in un punto da dove non si vede più la luce dell’ingresso, e quanto a quello di uscita appare così minuscolo che lo sguardo lo deve cercare continuamente e continuamente lo perde, e intanto non si è nemmeno sicuri se si tratti del principio o della fine del tunnel. Intorno a noi, intanto, nello sconvolgimento dei nostri sensi o nella loro ipersensibilità, c’è una moltitudine di mostri e una specie di gioco caleidoscopico affascinante o affaticante, secondo l’umore o le ferite del singolo.

Che cosa devo fare? Oppure, perché devo farlo? Non sono domande che si rivolgono là dentro”.

 

Messiaen, Bartok, Schönberg e Dalla Piccola accompagnano con brani scelti dal regista gli ottantatrè minuti della visione, la fotografia cattura con sapienza splendidi angoli del fiume e delle sue rive selvagge, inquietanti controluce, interni fatiscenti dei suoi casoni abbandonati sono i caratteri di un percorso diverso, letterario, teatrale, cinematografico e, in fondo, onirico.

Siamo a Porto Tolle, provincia di Rovigo, Polesine, grandi spazi di silenzio, acque calme e albe rosate, cultura contadina che ormai sopravvive solo nel Museo, affidato al volontariato, pieno di oggetti di un mondo scomparso che forse i giovani un giorno scopriranno.

In un ex zuccherificio in fase di demolizione, vetrate rotte, enormi spazi interni, corridoi bui dove immaginiamo scorrazzare ogni sorta di animaletti, Luigi Di Gianni pone il set.

Non ci sono soldi per un vero film e allora ci si arrangia tra realtà e finzione (e questa è l’Italia dove vive un vegliardo classe 1926, che ha lavorato con De Seta, ha girato documentari preziosi su temi antropologici e sociali con la supervisione, nei primi lavori, di Ernesto De Martino, ha racimolato pochi premi in rapporto al valore del suo lavoro,ma, della serie nemo profeta in patria, l’Università di Tubinga l’ha insignitodieci anni fadi laurea honoris causa in Filosofia).

 

Appunti per un film su Kafka (Nella colonia penale) si sviluppa su tre piani che s’intrecciano senza soluzione di continuità.

C’è la realtà ambientale dove si muove il regista che spiega le ragioni delle sue scelte, descrive i luoghi, legge passi da Kafka funzionali al testo rappresentato.

C’è la fiction cinematografica in cui domina la macchina di tortura con brevi intermezzi di un interno di bettola con donne e bevitori, e c’è il teatro, quattro attori (tra cui il regista), i tre personaggi del testo e il lettore, un leggìo per ciascuno e le parti sui fogli del copione.

L’intersecarsi dei tre piani crea un’atmosfera di straniamento e forte suggestione, la scrittura lievita nella lettura, si sollecita la capacità di ricostruzione simbolica di chi assiste al dramma, infine l’oggetto appare, nella sua aberrante epifania di macchina fatta per scrivere la colpa sul corpo del condannato.

Stando alla descrizione dell’ufficiale, per dodici ore i lunghi aghi dell’erpice, aggeggio posto in alto, scriveranno sul corpo del condannato steso sul letto, altri aghi spruzzeranno acqua per lavare il sangue.

Seguirà la morte, lentissima, il condannato a quel punto sarà del tutto consapevole: “… alla sesta ora tutti diventano silenziosi.- continua a parlare l’ufficiale - anche ai più ebeti si desta l’intelligenza: comincia dagli occhi e da lì si diffonde, lo spettacolo è tale che uno si sentirebbe invogliato di mettersi anche lui sotto l’erpice “.

 

Racconto filosofico di matrice dichiaratamente allegorica, emergono dalle letture i temi del rapporto tra individuo e potere, linguaggio e coercizione, chiusura di spazi relazionali e interruzione della comunicazione fra esseri umani, fra umanità e ambiente, fra terra e cielo.

Stranissima fantasia kafkiana in cui sono disseminati tutti i simboli della sua visione del reale, come darle una rappresentazione che esca dagli schemi consunti del relazionarsi reciprocamente in scene filmiche o teatrali?

La scelta è di muoversi in bilico tra reale e surreale, c’è molto del teatro cinematografico di Straub- Huillet, in una trascrizione filmica in cui la fiction gioca un ruolo minimo ma fondamentale, l’elemento catalizzante, la macchina di tortura e morte, è protagonista in ognuno dei tre livelli della rappresentazione (libro, film e realtà), e gli attori/personaggi sono appiattiti come le maschere demoniache e spettrali del teatro di Ensor (e in breve quadro li vedremo diventare proprio questo, pannelli appoggiati ad una parete).

 

Il corpo del condannato, reificato in una regressione in cui perde valore per diventare puro oggetto su cui marchiare il segno del potere,nel film è assente, il fulcro è la macchina con le sue potenzialità descritte con fanatico ardore dall’ufficiale che, sappiamo dagli attori/lettori, vi si immolerà nel finale.

In un’operazione di alternanza tra i piani, ogni caratterizzazione della colonia penale sparisce, come lo spazio relazionale tra individuo e individuo.

L’estraneità, la frattura irrimediabile fra l’io e l’altro, la macchina di morte che divora sé stessa e ne resta un misero oggetto da museo che ha perso pezzi per strada.

Neppure la morte ha più senso.

E l'esploratore?

Riprende la barca, scaccia col remo il soldato e il condannato che vorrebbero imbarcarsi, i remi tagliano l’acqua, stavolta verso il tramonto.

Ha detto solo poche parole, e quando ha visitato la tomba del vecchio Comandante sulla cui lapide era scritto: "Qui giace il vecchio comandante. I suoi seguaci, che ora non possono portare un nome, gli hanno scavato la tomba e posto questa lapide. Una profezia dice che dopo un certo numero d'anni il comandante risorgerà e da questa casa guiderà i suoi seguaci alla riconquista della colonia. Abbiate fede e attendete!" il suo disprezzo per gli sciocchi illusi che sbeffeggiavano la scritta era molto evidente.

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