Regia di John Erick Dowdle vedi scheda film
Al suo quarto film horror, John Erick Dowdle continua a non stupire, pur provandoci in ogni modo. Eppure, in un’esposizione che sfrutta lo stile found footage emergono alcuni fattori anche di buona fattura, che purtroppo devono relazionarsi con delle zavorre che nessuno vorrebbe ritrovarsi ai piedi (tantomeno dinnanzi agli occhi).
Muovendosi sulle orme paterne, Scarlett Marlowe (Perdita Weeks) scova una stanza segreta localizzata nel bel mezzo dei tanti chilometri che caratterizzano le catacombe situate sotto la città di Parigi. In breve tempo, costituisce un gruppo di esploratori, che comprendono guide esperte di questi sotterranei labirintici, e parte per una missione che dopo le prime avversità pare destinata a trasformarsi in un viaggio di sola andata.
Tra i tanti - sicuramente troppi - mockumentary che negli ultimi anni hanno tentato di farsi strada trascurando quasi sempre l’accuratezza necessaria per conseguire un senso compiuto, Necropolis figura tra i meno peggio.
Per come funziona a livello di dispositivo, perché annullando l’attività cerebrale funzionerebbe come una precisa macchina da guerra, sarebbe da applaudire, ma prendere in esame tutto ciò che si potrebbe anche considerare come supplementare, mette il giudizio in discussione.
Questo perché la sceneggiatura è il più delle volte discutibile, i dialoghi scivolano con estrema facilità nel ridicolo e anche quando talune osservazioni sembrano pronunciate con conoscenza, è obbligatorio fare i conti con un personaggio, la protagonista, difficile da sopportare.
D’altro canto, il movimento labirintico in un sottosuolo che pare senza uscita, offre delle dinamiche di tutto rispetto e instilla uno spaesamento che conduce in una direzione univoca: la paura.
Tra spazi chiusi e una luce che lascia sempre più spazio alle tenebre, nell’impossibilità di trovare facili soluzioni mentre il cappio si stringe attorno al collo, il disorientamento aumenta e i jumpscare sono profusi con costanza, sempre che i vizi di cui sopra non abbiano già annientato la partecipazione.
Per quanto già scritto, Necropolis può sortire effetti anche molto lontani, dal migliore al peggiore, a seconda di come vengono assorbite le sue coordinate, producendo comunque un dubbio amletico.
La giustificazione per dar vita all’ennesimo mockumentary è puerile, praticamente classificabile all’interno di una questione economica (investimento prossimo allo zero, tornaconto positivo praticamente garantito) e ci vuole veramente un attimo per immaginare che effetto avrebbe potuto promuovere qualora la costruzione fosse stata di tipo tradizionale (magari aggiungendo un talento di regia, anche se John Erick Dowdle sembra in grado di fare più di quanto mostrato fin qui).
In definitiva, Necropolis sopravanza parecchi suoi interlocutori, avendo frecce al suo arco che altri possono tranquillamente scordarsi, con un’implacabile discesa verso gli inferi che destabilizza con facilità, adoperando corde coercitive troppo spesso riconducibili a osservazioni e comportamenti di dubbia valenza.
Tra sobbalzi improvvisi e note irricevibili, il piacere per il ludico si mescola al pantano.
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