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Necropolis - La città dei morti

Regia di John Erick Dowdle vedi scheda film

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La recensione su Necropolis - La città dei morti

di EightAndHalf
8 stelle

Un POV con delle pretese, e da quando non succedeva? Il genere ultrabistrattato del mockumentary, che riempie le sale, ma che solo una nicchia ammette che è davvero intrigante, si ripulisce un po' grazie all'ultimo sforzo di John Erick Dowdle, un vero e proprio nome ormai per quanto riguarda le pellicole di genere - nel bene e nel male. Esclusi Devil e Quarantena, che possono serialmente dare sui nervi, il regista ha sfornato The Poughkeepsie Tapes, conturbante sequela di visioni degli omicidi di un killer voyeur. In Necropolis lo stile è decisamente più "pulito" e patinato, ma pur sempre "stomachevole" nell'ipercinesi della mdp, oltre che costretto a sopperire a una sceneggiatura dal peso grande un quintale. E così, distanziandosi appena il giusto dai possibili intrighi di Indiana Jones (e con qualche fischio all'orecchio al nome di Nicolas Flamel, al cui nome Harry Potter è un accostamento inevitabile), Necropolis comincia a raccontare la storia movimentata di un gruppo di improvvisati esploratori che, con angoscia crescente, cominciano a percorrere i cunicoli segreti delle catacombe sotto la città di Parigi alla ricerca di un tesoro ma, in primis, della pietra filosofale, dotata di incredibili poteri curativi. Ma le catacombe sembrano tutt'altro che "razionalizzabili", nella loro mappatura, e attorcigliandosi intorno ai personaggi, cominciano a illustrare in maniera sempre più frequente riferimenti evidenti al loro passato e ai dolori che affliggono la loro pace interiore. Con la conseguenza di un disagio sempre crescente e del raggiungimento di uno straniante senso di follia.

 

Perdita Weeks

Necropolis - La città dei morti (2014): Perdita Weeks

 

Un horror che parte con queste pretese senza arrivare a spiegare la sua storia con logiche precise (perché, pur parlando di luogo soprannaturale, siamo costretti ad affrontare il nostro passato?) è un horror che ha capito cos'è la paura. E' quella tensione e quell'insofferenza per l'inverosimile e l'inspiegabile che si vive di fronte alla claustrofobia, agli spazi stretti, a ciò che si nasconde dietro l'angolo, a ciò che l'occhio del personaggi (della mdp) non riesce a vedere ma si sente e ti perfora i timpani. Ad un horror oggi basterebbe questo presupposto per assumere già un ruolo fondamentale nella storia del cinema di paura, ma a Dowdle non basta, e non solo riesce a presentare discretamente i protagonisti a inizio film, quando la protagonista riesce a trovare l'appoggio di un gruppo di conoscitori delle catacombe e non di un suo amico esperto di aramaico che però sarà costretto a scendere pure lui; ma si inoltra anche in un intreccio che cura sia l'aspetto oggettivo del terribile luogo in cui i protagonisti si trovano, un mondo sotterraneo che assomiglia sempre di più all'inferno, che l'aspetto soggettivo, ovvero una sequela di apparizioni legate indissolubilmente alla memoria dei personaggi, e dunque un compromesso perfetto fra paura e introspezione psicologica, trama e individui che quella trama la "vivono" nella finzione filmica. Che sia un percorso di espiazione dei propri sensi di colpa è evidente, meno evidente è come Dowdle sia riuscito a renderlo credibile associandolo alla ricerca della pietra filosofale e alla discesa negli inferi delle anime dannate, le cui consuete apparizioni a fine film (con quel terribile mostro antropomorfico tanto simile alla Morte) rimangono inevitabilmente impresse, che facciano paura o meno. Insomma un mondo, quello sotterraneo, che va di pari passo con i protagonisti (basta vedere il momento in cui la protagonista riporta il manufatto trovato al suo posto, e poi si vede allo specchio: la trasmissione di un grande potere, una nuova consapevolezza da portare all'esterno).

 

scena

Necropolis - La città dei morti (2014): scena

scena

Necropolis - La città dei morti (2014): scena

Edwin Hodge

Necropolis - La città dei morti (2014): Edwin Hodge

 

Quindi Necropolis affascina per la sua evidente contemporaneità ma anche per la sua struttura sorprendentemente classica ma ibrida, ricca di tensione e di attese, fino alla lenta decimazione dei componenti del gruppo, che avremmo potuto aspettarci si riducesse a un finale orribilmente banale e stravisto, con la morte di tutti i personaggi, ma che invece Dowdle propone come ciliegina sulla torta. Un finale estremamente semplice e praticamente perfetto, in cui all'accrescersi della paura accresce anche uno stato di profondo benessere (cinefilo). Così accuse all'inverosimiglianza della trama e addossamenti di colpe allo stile mockumentarystico lasciano il tempo che trovano, e rivelano come lo spettatore esca davvero confuso, quando un POV con aspettative trash si rivela un piccolo capolavoro solo un po' più complesso del solito.

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