Regia di John Erick Dowdle vedi scheda film
Lo scorso weekend, in una serie di uscite i cui trailer ci hanno molestato per settimane ma quasi tutti evitabili, non spiccava certo questo piccolo horror di produzione americana ma ambientato nei cunicoli sotterranei di Parigi. Eppure si tratta di un horror che merita una visione. Sorprendente per credibilità e realismo quasi documentario. Inutile adesso qua soffermarci sullo stato dell'arte del cinema horror: io credo che sia superfluo cercarvi l'originalità, ormai è stato raschiato il fondo del barile e quello che fa la differenza sono i dettagli, tipo un guizzo particolare di un regista o la qualità dei protagonisti. A dire il vero non è poi del tutto un horror, anzi è difficile definire questo aggrovigliarsi di cinema dell'enigma e dell'angoscia, un'avventura della mente in cui regia e sceneggiatura (pregevoli) riescono a coinvolgere pericolosamente lo spettatore trascinandolo in una discesa verso gli inferi di un delirio assolutamente claustrofobico. Si può pensarla come si vuole, ma una cosa è sicura: (per fortuna) questo non è un teen-horror che fa ghignare i ragazzini. Nossignore, si tratta di un prodotto adulto e maturo che, pur senza avanzare pretese, difende una storia interessante e con un suo perchè, ancorchè affastellata di forse un pò troppe e ramificate componenti concettuali che vanno dall'alchimia all'esoterismo passando per la scienza e la religione. Componenti a tratti maldestramente confuse ma che rendono l'opera interessante e non banale. Lo spettatore è come se entrasse in una di quelle giostre che promettono percorsi paurosi, per uscirne (un tantino a disagio) dopo un'ora e mezza d'ansia. Ma è un'ansia benefica, di quelle felicemente simulate che solo il cinema ti può regalare. Il film ci parla di un manipolo di ragazzi che scendono nel labirinto dei sotterranei di Parigi alla ricerca (addirittura!) della pietra filosofale. Anche se poi per qualcuno di essi (i due protagonisti) il viaggio diviene occasione per fare drammaticamente i conti col proprio passato e coi sensi di colpa nei confronti di famigliari che non ci sono più. Sì, c'è una camera a mano che li riprende ma il discorso "Blair Witch" grazie a dio c'entra pochissimo, per lasciare spazio a citazioni bibliche e dantesche che si mescolano a riferimenti all'antico Egitto a formare una materia davvero inquietante e per certi versi anche affascinante. Estetica del buio e sublimazione della claustrofobia in chiave minimalista. Verso il finale, c'è un'immagine veloce ma efficacissima della protagonista col volto in primo piano sporco di sangue che produce un dilagare improvviso sullo schermo di un rosso che non t'aspetti e che ha generato in me un'impressione che non saprei definire...e a proposito del finale c'è da dire che forse è un po' troppo concitato, ma per fortuna il ritorno "sulla terra" dei sopravvissuti permette al pubblico di respirare. Il cast è discreto anche se non eccezionale, ma una parola sulla bravissima protagonista è necessario spenderla. Perdita Weeks, 29enne di Cardiff, è graziosissima ma soprattutto mostra un formidabile talento d'attrice. E' pronta per il grande salto verso una grossa produzione. Andatelo a vedere e lasciate perdere i polpettoni fanta-new age con Meryl Streep o le intollerabili scemenze con Cameron Diaz.
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