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Ouija

Regia di Stiles White vedi scheda film

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La recensione su Ouija

di amandagriss
6 stelle

 

I giochi dei grandi

 

Ouija è la famosa tavola ‘parlante’ -dall’unione del "oui" francese e il "ja" tedesco- utilizzata spesso per le sedute spiritiche.

Questa, con l’ausilio di un sensitivo o medium, rende possibile interagire col mondo dei morti, per stabilire un contatto con l’aldilà, con chi si crede perduto per sempre, per non interrompere, in molti casi, quel legame con chi ha lasciato definitivamente il nostro aldiqua.

L’ouija è poi divenuta una tavola da gioco per giochi da tavola.

Tra scetticismo e superstizione, voglia di divertirsi e provare genuini brividi lungo la schiena, tale gioco, ideale da proporre nelle serate tra amici, magari quando fuori piove e fa freddo, impone delle ferree regole che è bene, per il bene di tutti, tenere a mente e rispettare religiosamente:

1) non giocare mai da soli

2) mai giocarci al cimitero

3) salutare sempre prima di iniziare

4) far fare alla planchette -l’indicatore mobile in dotazione con la tavola- tanti giri al centro della tavola quanto il numero dei giocatori

5) pronunciare una canonica frase di rito per iniziare il gioco con l’aldilà.

Altrimenti, la faccenda potrebbe complicarsi e prendere una piega tanto spiacevole quanto pericolosa.

 

Ouija-film è una ghost story esangue, che possiede tutte le caratteristiche del classico film di paura ideato a tavolino (è il caso di dire) per intrattenere in sala una fascia ampia di pubblico e non solo quello di nicchia, irriducibile appassionato d’horror e affini, pronto alla più estrema delle visioni, incluse quelle in cui varrebbe la pena farsi ridare indietro i soldi del biglietto insieme a tante scuse per la perdita di tempo prezioso e la fin troppa pazienza, sempre abbondante nel fruitore/esploratore di chicche e porcherie in celluloide.

Il film possiede tutti i collaudati meccanismi per suscitare lo spavento e il proverbiale salto sulla poltrona che non tarda a manifestarsi, ma son mezzucci dalla consistenza assai esile seppur utilizzati secondo manuale.

E non aggiungono assolutamente nulla al fattore paura, che sulla carta e nel debordante immaginario comune avrebbe dovuto trasudare in abbondanza dal racconto, qui lentamente e discretamente imbastito da permettere anche al cinefilo (sempre d’orrore) più agguerrito e navigato di seguire l’arcinoto avvicendarsi degli eventi, di farsi cullare da una storia vecchia quanto il mondo che forse oggi non fa nemmeno più presa, e scoprire, tuttavia, sorpreso, di percepire una certa tensione per l’intera breve (giusta) durata del gioco-film.

Perché, alla fine, di un gioco si tratta.

 

La tavola ouija è un prodotto di proprietà della Hasbro, casa di fabbricazione di giocattoli per l’infanzia e giochi da tavolo adatti anche agli adulti, la seconda nel mondo dopo il colosso Mattel, che negli anni addietro ha sfornato numerosi pezzi da 90 diffusisi capillarmente su tutti il globo.

Oggi, la Hasbro ha allargato i suoi orizzonti divenendo una casa di produzione cinematografica, e chi, se non Michael Bay con la sua Platinum Dunes (supportato dalla Blumhouse di Paranormal Activity e la saga Insidious) poteva fiutare l’affare e creare un eventuale florido sodalizio, (più) economico (che) artistico, tra chi sforna giochi e chi considera il cinema un pirotecnico gioco da milioni e milioni di dollari?

Chi, se non lui, che ha portato sullo schermo i Transformers, creatura di grande successo della Hasbro?

Chi, se non lui, che continua a corteggiare il cinema horror degli anni fine ‘70 e ’80, riportando in auge e aggiornando (leggasi pure rimaneggiando) i suoi mostri sacri con risultati alquanto discutibili?

Convinto che il cinema dell’orrore del nostro passato prossimo sia un’inesauribile miniera d’oro di idee e soldoni, si ostina a rimestare nell’enorme calderone di storie, icone, feticci, stilemi del genere tutto per ricavarci qualcosa di potenzialmente allettante.

Stavolta studia meglio le sue mosse e gioca in maniera più sottile e più creativa le carte che quest’ultima mano gli ha fornito.

La parola d’ordine è vintage.

Reinventare, per quanto è possibile, guardando necessariamente al passato.

Punta, allora, tutto sulla costruzione di quelle atmosfere che dominavano gran parte del cinema di paura di quegli anni favolosi. In questo caso si possono trovare, senza troppa difficoltà, interessanti analogie con A Nightmare on Elm Street, uno dei migliori lavori firmati da Wes Craven, che ha scosso per sempre il cinema horror di allora e con esso chi a quella fonte si è avidamente abbeverato.

Ebbene, in Ouija ritroviamo la dimensione della morte che irrompe in quella della vita attraverso la porta spalancata dalla seduta spiritica, nel film di Craven, quella porta è il sogno nella sua fase r.e.m (la meno controllabile che rende chi sogna assolutamente vulnerabile);

un fatto di cronaca nera locale che coinvolge grandi e piccini;

un gruppo di amici dello stesso liceo di provincia (americana), tutti raggiunti dallo stesso identico messaggio soprannaturale, in Nightmare i ragazzi scoprono di aver fatto il medesimo orribile sogno;

il protagonista è una donzella che si rivela forte e determinata;

gli adulti fanno da sfondo, sono assenti o inutili o, per un breve momento, salvifici;

viene (per un solo istante) spiegato scientificamente il fenomeno della planchette che scorre ‘da sola’ sulla tavola, come accade con i meccanismi del sonno in Nightmare;

le personali paure si trasformano nel miglior viatico per raggiungere il creatore;

l’inesorabile body count, naturalmente;

il ragazzo belloccio della protagonista che ricorda nel ciuffo e nella simil dipartita il Johnny Depp d'antan;

il fuoco come strumento di purificazione;

il finale aperto per niente conciliante;

e finanche il commento musicale, per quanto piuttosto anonimo, rimanda a quelle poche note angoscianti che serpeggiano invadenti e asfissianti nel capolavoro splatter di Craven.

L’accostamento tra una pietra miliare horror e questo prodotto (fin troppo) pulito e corretto può risultare azzardato, poco probabile ma non impossibile. O campato in aria.

L’utilizzo più tradizionale del found footage ci riporta ulteriormente ai tempi che furono. Qualche filmato in stile selfie (per stare al passo coi tempi) viene affiancato alla ricerca della verità sul campo, con la nostra giovine eroina a visitare manicomi sulle tracce di un passato che non smette di perseguitare innocenti.

Ouija è un'opera media che si guarda senza annoiarsi troppo e spaventarsi altrettanto.

Certo, dopo questo film, manovrare il filo interdentale sarà un’impresa ancora più inquietante del solito.

 

     

 

                                                                                               

 

 

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