Regia di Stiles White vedi scheda film
Inventato sul finire dell’Ottocento, il quadrante Ouija (si legge “ui-ia”, “sì” in francese e tedesco, ma esiste anche una versione novecentesca battezzata Yesda) permette di comunicare con i morti, che muovono dall’aldilà un’icona triangolare simile all’occhio di Dio (o del Diavolo; oggi lo chiameremmo cursore). Scientificamente si tratta di un effetto ideomotorio, sfruttato ad arte dai medium nelle sedute spiritiche. Nel film è il pretesto per risvegliare anime dannate, provocare qualche cruento delitto mascherato da suicidio o incidente, rievocare spaventi ancestrali. A ritrovare l’Ouija una ragazza che ci giocava da bambina a casa dell’amica del cuore, morta impiccata stile Suspiria a inizio film. Le prime due sequenze fanno ben sperare, invece, una volta cominciata l’indagine degli amici della povera impiccata, Ouija s’incarta per quasi mezz’ora preparando il campo a un finale “shock” che più derivativo non si può. L’armamentario iconico (dagli specchi alla casa infestata all’immancabile bambola ghignante) è stantio, i rimandi confusi (da Spiritika a La madre di Muschietti a Boogeyman - L’uomo nero, di cui l’esordiente regista Stiles White fu cosceneggiatore), né purtroppo aiutano le performance poco incisive degli anonimi protagonisti. Dopo avere visto il rivoluzionario It Follows di David Robert Mitchell, che speriamo arrivi presto sugli schermi italiani, l’indulgenza per horror così poco originali si fa sempre più difficile.
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