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Crimson Peak

Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film

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La recensione su Crimson Peak

di lorisdordoni
8 stelle

Come insaporire una trama di per sé semplice ed abbastanza insipida: una scenografia mozzafiato, una sceneggiatura egregia, una regia poderosa ed una fotografia impattante. In una parola? Magniloquente. Del Toro ci ributta nel suo mondo dal quale, con fatica, poi ne si esce - forse.

1887. Edith Cushing, la giovane figlia di Carter Cushing, un ricco uomo d'affari, viene sorpresa durante una notte dal fantasma sfigurato di sua madre morta di colera. Lo spirito avverte la propria figlia: "Attenta a Crimson Peak".

Quattordici anni dopo, Edith è ormai un'autrice che preferisce scrivere storie di fantasmi piuttosto che romanzi rosa, come vorrebbe il suo editore. Incontra ben presto Sir Thomas Sharpe, un giovane baronetto inglese in cerca di investitori, tra cui il padre di Edith, per finanziare una sua invenzione per estrarre l'argilla rossa dai giacimenti minerari. Non confidando nell'aristocrazia privilegiata e convinto che il prototipo di Sharpe non sia sufficientemente adeguato per essere finanziato, il Sig. Cushing respinge la proposta di Sir Thomas. Edith nota che Sir Thomas e sua sorella, Lady Lucille, portano abiti costosi ma fuori moda. Poco dopo, Edith ancora una volta è visitata dallo spirito di sua madre che le ripete lo stesso avvertimento di quattordici anni prima: "Attenta a Crimson Peak".

 

Mi fermerei qui con la trama, perché questo film va vissuto ed assaporato, boccone per boccone, completamente ignari del suo essere. Quando andai al cinema a guardarlo, ci andai completamente vergine di ogni sua parte: non vidi trailer, non lessi sinossi, non mi interessai nemmeno del cast: completamente puro. E quel che mi attraversò non fu solo la bellezza visiva della pellicola, ma la filosofia di Del Toro, la complessità del suo pensiero che, se letto su di un saggio può risultare astruso, ma vissuto attraverso un film risulta essere leggero, fruibile e saporito. Mi piace definire Del Toro un regista filosofo e fra poco vedremo il perché.

 

La recensione potrebbe finire con una sola parola: magniloquente.


Crimson Peak non è altro, a mio avviso, che forse il miglior film del regista che ha permesso allo stesso di danzare sulla sua dicotomia preferita: umano, bontà.
L'uomo per Del Toro non è mai buono, mai, solo i bambini hanno una inconsapevolezza che li rende affascinati e quindi affascinanti da e per il mondo; Del Toro accosta sempre il male all'uomo, come se l'uno fosse la persona e l'altro il proprio bastone, ed in questo film tocca l'apice di questa trama. Del Toro, e qui mi spingo, pare avere una visione abbastanza nietzschiana dell'uomo, forse più cadente verso l'ala schopenahueriana: mette sempre in risalto quella volontà di potenza, quella volontà di vita dell'uomo, che lo porta sempre a compiere il male, rendendolo atroce e putrido, marcio per questa volontà, ma rendendolo al tempo stesso affascinante proprio per lo stesso motivo.

 

Due parole sulla casa: quella casa è il simbolo del pensiero di Del Toro. Bellissima, ma decadente; affascinante, ma intimidatoria; alla mente calda e accogliente, ma alla vista fredda e dura (forse il contrario, o forse è ambivalente). Insomma, la casa è il capolavoro del film, lo stesso Del Toro lo dice e ne è fiero; piena di dettagli anche sottili, piena di rimandi fiabeschi e citazioni: bellissima. La sua imponenza che sprofonda nell'argilla non è altro che un aiuto allo spettatore per il proseguo del film: questa poderosa e immensa bellezza che, oramai decadente, crolla sotto ciò che permette all'uomo di vivere; una volta visto il film troverete facilmente il filo rosso che collega la storia dei protagonisti con la storia della casa, non tanto in quanto casa, ma quanto rimando metaforico, quasi allegorico, della vita umana e dell'uomo “deltoriano”.

 

L'operazione cast è azzeccatissima: se Mia Wasikowska è la parte dolce, materna e fiabesca del film (almeno nella prima parte), Jessica Chastain è sicuramente la parte femminea, calcolatrice, fredda ed assolutamente affascinante della pellicola, allora il buon Tom Hiddleston non è altro che il cardine su cui si basa la narrativa. Assolutamente corretta, a mio avviso, la sua bassa iperbole nella recitazione, non tanto in termini relativi, bensì in termini assoluti, perché su di lui verte l'intera bilancia della pellicola e, sempre sulle sue spalle, verte la filosofia di Del Toro: l'uomo malvagio può tentare la redenzione, può cercare di combattere il proprio animo sporco e marcio, anche con gesti poderosi e di buona volontà, ma rimane aggrappato, appunto, alla propria volontà di vivere e di esistere, rimane appeso alla voglia d'essere in essere e non semplicemente d'essere e basta; da qui la discesa affannosa e la tentata ascesa di Tom nel finale che, però, non potrà mai essere completa - in quanto l'animo umano è sempre e comunque oscuro e marcio - e la detta ascesa, nietzschiana, è propriamente un male che solo gli uomini talmente malvagi da percorrerla potranno realizzarla, e Tom è a mezza via: troppo umano per poter vivere, troppo sensibile all'amore per potersi ascetizzare. Tutto ciò è sempre ricoperto da un velo, l'apparire del film (nello specifico potremmo parlare di Buffalo), che ricorda molto il pensiero schopenahueriano, il velo di Maya ed il pessimismo, che cinge ed ingloba in sé quella punta elevata di nietzschismo crudo e violento di cui sopra.

 

Quindi Del Toro ha confezionato un gioiello, sì con alcune pecche, ma con nessun grande difetto, che ne incorona la sua filosofia ed idea del mondo e la rende fruibile grazie ad un bellissimo horror gotico spennellato, qua e là, da del buon proto-fantasy.

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