Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film
Guillermo del Toro crede profondamente in ciò che fa. La sua erudizione non lo conduce a un approccio metalinguistico nei confronti dei generi, ma a una loro attualizzazione critica. Crimson Peak non è solo un omaggio al gotico, ma anche e soprattutto una riscrittura politica di un canone codificato. Il conflitto fra aristocrazia del vecchio mondo e capitalismo sorgente di quello nuovo - l’argilla rossa che non riesce a essere messa a frutto industrialmente - trova il suo corrispettivo nell’immagine di una scrittura (le ambizioni letterarie della protagonista) che per esistere deve calarsi nell’agone del reale. Deriva da qui il paradosso «i fantasmi sono veri». Del Toro mette in scena anche il conflitto fra superstizione e dispositivo di riproduzione: le fotografie che rivelano la terza immagine. Vedere è un lavoro. Per farlo bisogna costruire immagini. Ne consegue che vedere i fantasmi è il risultato di una produzione (il lavoro del cinema). Non è un caso che i colori del film siano fortemente allucinatori (si pensa, inevitabilmente, al ciclo Poe di Roger Corman). La devozione di Del Toro alla materia è tale da rischiare il calligrafismo. Le punte di crudele e repentina brutalità riconducono però tutto a una dimensione documentaria. Così, fra omaggi a Walpole, James e altri, e un conflitto sublime fra due attrici enormi, il mondo di ieri cola dolente e sensuale come un veleno dolcissimo fra le pieghe del nostro.
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