Regia di Naomi Kawase vedi scheda film
FESTIVAL DI CANNES 2014 - CONCORSO
Il titolo originale dell'ultima opera di Naomi Kawase, “Futatsume no mado”, pare possa tradursi con qualcosa come “La seconda finestra”. Le porte che congiungono la vita con la morte in qualche modo si sdoppiano quando incontriamo un popolo, un gruppo di persone, gli abitanti di un'isola giapponese dal nome già di per sé evocativo (almeno per noi italiani) di Amami, una donna sciamana morente, che è in grado di comprendere la giusta via per prepararsi serenamente alla fine.
In Still the water tornano i temi cardine della cinematografia dell'autrice giapponese: lo stretto legame tra la vita e la morte, il rapporto simbiotico tra gli uomini e la natura, cosa che accade senza problemi nel microcosmo di quell'isola fuori da ogni più logorante contaminazione commerciale e mediatica che ne insozzi la purezza.
Una mattina il mare, spesso in burrasca sulle scogliere impervie dell'isola, restituisce il corpo sena vita di un uomo: uno sconosciuto tutto tatuato, scoperto per caso dal quattordicenne Ten, che tuttavia ha ricordi confusi e familiari di quei disegni che solcano la pelle del cadavere.
La scoperta del cadavere gli permette di conoscere meglio la coetanea Kyoko, ragazza sveglia ed emancipata, che nuota vestita tra i flutti di un mare che assomiglia ad un paradiso, e che nulla fa per nascondere la sua attrazione sessuale per il ragazzo, invece molto più timido e ritroso. Intanto conosciamo anche il nonno della ragazza, un pastore che vive con quello che gli offrono i suoi allevamenti e che, mentre sgozza le sue capre bianche, mostra alla nipote, affascinata ma anche tesa, il limite estremo tra la vita e la morte, come in una esaltazione composta di tutto il bello della vita. Nel contempo la madre della ragazza viene dimessa dall'ospedale in quanto la sua malattia è ormai allo stato terminale e non ha più senso sottoporla ad accanimenti doloroso e poco proficui: disposto il suo letto proprio di fronte alla veranda che accede al giardino e ad una pianta secolare i cui rami si avvitano potenti ed esuberanti verso il cielo, la donna trascorre i suoi ultimi giorni in uno stato di torpore, una agonia cosciente nella quale, attorniata dai propri cari e dai canti popolari più antichi, la donna riesce a trovare la strada per congiungere la sua vit col sentiero della morte e, probabilmente, della vita eterna. Al contrario di Kyoko, la famiglia di Ten è allo sbando: il padre è lontano ed il ragazzo, al quale manca una figura di riferimento paterna, anela a ritrovarlo, scoraggiato da una madre apparentemente un po' distante se non fredda, troppo presa a organizzare incontri clandestini puntualmente smascherati dal ragazzino.
Alla fine un incontro chiarificatore tra i due, con l'aiuto di alcuni membri della famiglia della ragazza, riuscirà a far riabbracciare madre e figlio e a passar oltre il fulcro della vicenda, una morte apparentemente poco chiara che introduce la vicenda e ne resta ai limiti, quasi abbandonata a se stessa, per trattare invece certo di morte, come di vita, intrisa questa come un percorso preparatorio che si impara apprezzando le bellezze selvagge e travolgenti di una natura se non incontaminata, certo rispettata.
Non è un film facile né semplice quello della Kawase, né tanto meno accattivante, nonostante le splendide immagini di tempeste marine, onde oceaniche da vertigine, mari incontaminati solcati dai corpi acerbi e perfetti dei due adolescenti. Anzi è spesso un film forte, anche irritante come quando assistiamo allo sgozzamento delle caprette, mentre agonizzano lanciando l'ultimo sguardo ad un creato così bello e perfetto da parere irreale. E' un film sull'equilibrio, sulla ricerca della via ideale per passare con cosciente serenità da una vita materiale ad una spirituale, vivendo la prima in modo più distaccato possibile dai condizionamenti che ci legano stoltamente ed indissolubilmente ad ansie e problematiche fini a se stesse ma non certamente in grado di elevarci o arricchirci interiormente.
Un film distantissimo dalle nostre quotidiane esperienze e per questo forse inevitabilmente astratto di fronte al nostro intendere e scegliere le priorità della nostra vita così materiale e superficiale.
In tale senso un film a suo modo religioso e dogmatico, toccante e disturbante assieme, a suo modo straordinario.
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