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La spacconata

Regia di Alfonso Brescia vedi scheda film

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La recensione su La spacconata

di giurista81
6 stelle

Sulla scia de Il Richiamo della Foresta (1972) di Ken Annakin e, soprattutto, degli Zanna Bianca (1973 e 1974) di Lucio Fulci, il bravo Alfonso Brescia, già regista degli interessanti western I Giorni della Violenza (1967) e Killer Calibro 32 (1967), confeziona un prodotto commerciale capace di intrattenere in modo adeguato, pur senza innovare il genere e pescando a destra e sinistra nella classica logica dei prodotti di imitazione a basso costo. Incerto in sceneggiatura (di Piero Regnoli e Giuseppe Maggi), tra picchi di violenza (un uomo sbranato dai cani oppure i crudeli combattimenti cinofili ereditati da Zanna Bianca) e scazzottate in salsa comica (fuori luogo dato il taglio prevalente dell'opera), La Spacconata segue vie collaudate, cercando di guardare alla melanconia di matrice "londoniana" (il bimbo che piange guardando nel carillon la foto della madre morta o il pastore tedesco che si porta sempre dietro ferito e sulla via del trapasso, ma capace di superare ogni ostacolo e ribaltare a proprio favore ogni scontro) mischiato allo spaghetti western e al sorrisi & cazzotti, con persino momenti di comicità dovuti alla presenza di un pappagallo parlante. Ignazio Spalla (aka Padro Sanchez), doppiato da Glauco Onorato, è una sorta di via di mezzo tra un Bud Spencer dei poveri e il personaggio di Doppio Whisky della saga Arizona, mentre Robert Woods è l'eroe di turno che deve proteggere il figlioletto (il semidebuttante Paolo Lena, che non si vedrà più al cinema) rimasto orfano di madre. Intenzionato a dare una madre al piccolo, Woods se la dovrà vedere con la banda dell'immancabile bullo del paese che farà di tutto per farlo cacciare dalla proprietà ereditata dal fratello (barbaramente assassinato), poiché all'interno della stessa si trova una miniera ricca d'oro. Gli sceneggiatori introducono uno sviluppo narrativo, che da il titolo al film, assai crudele. Si assiste, a metà opera, a una sostituzione di persona finalizzata a deridere e offendere l'onore del protagonista. Questo infatti ha contratto un matrimonio per procura con una cugina che non vede da venti anni e che deve giungere in paese dal Montana. La notizia giunge alle orecchie degli scagnozzi del cattivone di turno (Claudio Undari, che resta piuttosto ai margini della storia muovendo le pedine di un ideale scacchiere salvo poi dover entrare in azione in prima persona), che decidono di inscenare un incontro con la giovane sposina. La ragazza, la rossa Gabriella Lepori, appena giunta a destinazione, si lascia cadere tra le braccia dell'uomo che l'attende con i fiori in mano e che si spaccia per il personaggio di Woods, non sapendo di esser caduta in una trappola e pensando di essere alle prese col marito. Passata una notte d'amore con lo sconosciuto, si vede costretta a esaudire i desideri sessuali di altri quattro uomini. Pur incolpevole, si vedrà inizialmente respinta dal reale marito, infastidito dalla notizia. Ovviamente, all'epilogo, l'amore trionferà, ma a costo di una morte: quella del piccolo concepito a seguito dello stupro di gruppo. 

Brescia dirige con mano sicura e abilità da mestierante, in un mix di campi lunghissimi e primi piani (persino qualche soggettiva e semi-soggettiva), in cui anche le immagini documentaristiche (tipiche del sottogenere), con lupi a caccia di renne, ben si amalgano al tutto. Presente anche una sequenza, assai cruda, con una serie di lupi presi a fucilate e poi ripresi riversi sulla neve imbrattata di sangue. Notevole la fotografia di Silvio Fraschetti, assai fredda, glaciale e ben intonata alle scenografie innevate di quello che dovrebbe essere il Canada del sud. Brescia si porterà dietro il direttore della fotografia anche per i successivi film, soprattutto le sceneggiate napoletane che vedranno l'indimenticabile Mario Merola nel ruolo di dominatore incontrastato.

Di qualità la colonna sonora di Alessandro Alessandroni, bene pure il montaggio di Liliana Serra che sarà confermata nel gemello Zanna Bianca e il Cacciatore Solitario (1975). 

Alla fine resta un piccolo B-Movie piuttosto onesto, non certo originale, ma capace di intrattenere e di raggiungere lo scopo per cui è stato realizzato. Purtroppo gode di cattiva fama, addirittura quattro virgola sette il voto su imdb. Un giudizio ingiusto, attribuibile anche a una scarsa conoscenza della pellicola. A nostro avviso, è un film riuscito del filone londoniano in cui vi sono spruzzate di western e di sorrisi cazzotti, ma anche quella crudeltà ereditata dagli zanna bianca fulciani. Sufficiente. a dimostrazione delle qualità del regista Alfonso Brescia.

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