Regia di Giacomo Campiotti vedi scheda film
Campiotti dirige regalandoci moltissimi momenti commoventi e raccontando senza enfasi l’ottusità delle istituzioni (quella carceraria, quella scolastica, quella televisiva), sfidate a testa alta da un genio della pedagogia: il maestro che tutti vorremmo avere avuto, interpretato con intensità e perfetta immedesimazione da Claudio Santamaria.
Sarà che con Non è mai troppo tardi la RAI ha voluto celebrare una delle trasmissioni di maggior successo della propria storia, una di quelle diventate leggendarie (basterebbe pensare che il suo format venne esportato in 72 Paesi e la trasmissione andò avanti per 8 anni, dal 1960 al 1968), fatto sta che stavolta siamo a un altro livello rispetto ai film TV che in genere ci offre. Il biopic su Alberto Manzi, il maestro che, grazie alla sua trasmissione, fece prendere la licenza elementare a un milione e mezzo di italiani analfabeti, è di quelli che scaldano il cuore e che può vantare un’estetica cinematografica sobria ma non priva di guizzi e una ricostruzione d’epoca di notevole livello. Personaggio anticonformista, con una vocazione così irriducibile al suo ruolo di maestro, interpretato senza risparmio maieutico, Alberto Manzi fu un formatore dalle qualità straordinarie. Il film in due parti (per tre ore di durata) ne racconta gli anni dell’insegnamento nel riformatorio Aristide Gabelli di Roma e quelli alla scuola Fratelli Bandiera, entrambi a Roma, ossia gli anni che vanno dal 1946 ai primi Sessanta. Campiotti dirige regalandoci moltissimi momenti commoventi e raccontando senza enfasi l’ottusità delle istituzioni (quella carceraria, quella scolastica, quella televisiva), sfidate a testa alta da un genio della pedagogia: il maestro che tutti vorremmo avere avuto, interpretato con intensità e perfetta immedesimazione da Claudio Santamaria.
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