Regia di Sergio Caballero vedi scheda film
Il film di Caballero invita costantemente lo spettatore a lasciare l'incredulità fuori dalla porta, sballottandolo con compiaciuta destrezza all'interno di una galleria inesauribile di stranezze assortite, ma al tempo stesso tenendolo appeso ad un filo di illogica continuità.
In una centrale termica dismessa sperduta tra le lande fredde e desolate della Siberia, vive un artista concettuale austriaco ivi condotto quattro anni addietro, insieme a una sua opera, da un oligarca russo poi scomparso. Dal magazzino nel quale da allora dimora, e all'interno del quale continua le sue ricerche a base di complicatissime formule matematiche, tramite delle strane missive convoca a sé tre ladri - nani e telecinetici - per incaricarli, dietro lauta ricompensa, di introdursi nella sala delle turbine, eludere il controllo del guardiano, e rubare per lui "La Distanza".
Secondo film dello spagnolo Sergio Caballero, La Distancia è un'idea nella testa dell'autore stesso, sviluppata scegliendo di non partire da uno script ma da elementi cardine da inserire in una storia che prende forma come un flusso di coscienza, come un perfetto connubio tra immagini e suoni, tra gesti e ambienti.
Concepito come un'opera in divenire, e capace di lasciare qualcosa di sé anche dopo la visione, La Distancia è un bizzarro incontro tra David Lynch e Andrei Tarkovsky: un heist movie ambientato ai confini del mondo, nel quale un forte tono grottesco smorza il respiro post-apocalittico mentre la plausibilità lascia il passo ad una narrazione sospesa, e dove il racconto, seppur a suo modo lineare, sottostà a leggi che portano la consequenzialità tra causa ed effetto verso i lidi di un nonsense organizzato, di un surrealismo esposto che è al tempo stesso mezzo e scopo.
Tra uomini che si masturbano in tacchi a spillo esclamando «Plutone!» al momento dell'orgasmo, e donne procaci che si palesano 'nel pensiero' saltando fuori come il genio della lampada - ma dopo uno sfregamento di testicoli, tra mortadelle marchiate "Yoko Ono", bracieri poliglotti, senzienti e innamorati, ed esseri umani che comunicano senza aprir bocca, scambiandosi con il solo pensiero anche gli insulti, il film di Caballero invita costantemente lo spettatore a lasciare l'incredulità fuori dalla porta, sballottandolo con compiaciuta destrezza all'interno di una galleria inesauribile di stranezze assortite, ma al tempo stesso tenendolo appeso ad un filo di illogica continuità verso un finale tanto brusco quanto (non) rivelatorio che, se da un lato suggerisce una riflessione sul rapporto tra il cinema e le altre forme d'arte (oltre che regista, Caballero è videoartista, musicista e scultore), dall'altro, e più semplicemente, si pone come tappa fisiologicamente conclusiva di uno stimolante viaggio nell'assurdo.
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