Regia di Wes Craven vedi scheda film
Deluso dalla perdita del suo killer dei sogni, per voleri degli studios, Wes Craven tenta di rispondere inventando un altro assassino a sangue freddo altrettanto etereo e impalpabile. Peccato che Horace Pinker, nonostante i buoni spunti, non riesca nemmeno a ricalcare un quarto della scia di successo di Freddy Kruger.
Eppure bisogna ricordare che c'è Craven dietro questo film: non esattamente un principiante alle prime armi, figurarsi poi nel campo dell'horror. Difatti, la regia non solo è professionale, ma riesce pure a rendere spaventosamente crudi gli atti di Pinker: primi piani su tremendi sgozzamenti, vivido sangue che cola e imbratta ovunque... Soprattutto nella prima parte, la sensazione che Craven sappia il fatto suo è innegabile. Ma dopo alcune trovate (che ispireranno futuri film quali "Il Tagliaerbe") la cinepresa perde presa, rivelandosi poco ispirata, riutilizzando vecchi spunti avuti nel ben più famoso "Nightmare".
Anche nella sceneggiatura vi è questo dualismo tra fallimento e maestria: Craven mette sulla carta un'ottima idea per il suo nuovo assassino; la sua è una critica al mondo della televisione, un onnipresente tecnologia che raggiunge le case e il cervello delle persone, inducendole a comportamenti più o meno subliminali. Horace Pinker è quel segnale televisivo maligno e perverso, che ci rincitrullisce continuamente, incarnando alla perfezione la violenta scossa cerebrale che ne consegue, meno celata di quanto non siano i messaggi amorali dei mass media.
Ma a questo buon incipit purtroppo risponde una trama poco solida: a malapena sostenuta da queste poche ispirazioni, finisce presto per perdersi intorno a litri di sangue, ripetendosi in svariate sequenze (il continuo tentativo di assassinio di Jonathan Parker alla lunga stanca) e finendo persino in situazioni surreali: difficili da digerire. Il mix di horror e ironia non solo non è riuscito, ma qualunque spettatore si ritrova impassibile di fronte a tentativi di spavento e di sorriso: frettolosi e frutto di scopiazzature.
Anche il cast di non professionisti si fa sentire, soprattutto nel finale: la vicenda si dirige noiosamente ed (troppo) incessantemente in dei patetici trastullamenti, ai limiti del grottesco. Vengono aperte una miriade di sottotrame, che, causa buchi nella sceneggiatura, non vengono ben riempite o portate a termine, e gli attori ovviamente non aiutano.
Tutti sopra le righe, o come nel caso di Peter Berg spenti e senz'anima; si tenta di puntare tutto su Mitch Pileggi: peccato che il suo Horace Pinker sia solo un ridanciano folle; un caotico personaggio assetato di sangue che sa solo urlare minacce e ridere a crepapelle, senza risultare spaventoso o per lo meno divertente.
Si salvano però le scenografie, che riescono benissimo a dare vita ad una Los Angeles di periferia o di città tramite palazzi e parchi ben strutturati. Persino negli interni conquista: in particolare in quel bagno luogo di empio delitto, che più volte si trasforma in luogo onirico e fantasioso.
Accettabili anche le musiche rock di artisti quali Alice Cooper e Megadeth, che per lo meno riescono a dare un alone di cattiveria e durezza allo spietato killer, trascinanti e ben eseguite.
Craven dimostra di avere alcuni "lampi" di creatività, ma la mediocricità generale non permette a Pinker di sfondare le nostre televisioni, causa forse il tentativo di ricalcare le orme di un precedente successo.
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