Regia di Fellipe Barbosa vedi scheda film
“Anche i ricchi piangono”, titolava una notissima telenovelas brasiliana.
E' proprio il caso di dirlo anche qui con CASA GRANDE, un buon film brasiliano dell'esordiente Felipe Barbosa, film che all'ultimo Sundance Festival ha ottenuto dei buoni riscontri critici.
Epicentro di una vicenda familiare di declino economico e morale, una ricca famiglia della classe economicamente più abbiente di Rio De Janeiro, una delle città dove più di ogni altra la mondo ricchezza ostentata e povertà si ritrovano a vivere una di fianco all'altra, la prima tra i grattacieli o le ville hollywoodiane mantenute da servitori e aiutanti, la seconda costretta a convivere in megalopoli fatiscenti fatte di baracche e ruderi desolati ed instabili arroccati sulle montagne circostanti che degradano spericolate e in modo rocambolesco verso la sabbia dorata ed impalpabile di Copacabana e Ipanema.
L'apertura del film si concentra, con una ripresa fissa piuttosto lunga, all'interno di un fastoso cancello che ci avvicenda in un opulento e lussureggiante giardino colmo di piante esotiche e prati curatissimi, una piscina con adiacente Jacuzzi in funzione, dove poco dopo un uomo distinto e signorile fuoriesce per asciugarsi, chiudere i circuiti dell'acqua, spegnere le luci e barricarsi in casa, accendendo gli allarmi e le telecamere che assicurano la casa contro eventuali possibili malintenzionati.
Jean vive in quella reggia servito e riverito come un giovane lord. Ha diciassette anni, frequenta licei costosissimi, lo accompagna un autista, ha una cuoca che gli prepara da mangiare, persino una cameriera che generosamente lo svezza negli incontrollabili ed un po' goffi, infuocati ed incontenibili ardori sessuali che caratterizzano quell'età.
Vive la vita di uno studente privilegiato, figlio di un finanziere che ha fatto fortuna vendendo derivati e altri prodotti di finanza creativa, fattori portanti di una ricchezza accumulata in poco tempo, parte della quale estrinsecata nella costruzione della villa principesca che da asilo alla sua famiglia perfetta e felice, almeno sulla carta: una fortuna che quando la si vive con quotidianità diventa una routine scontata.
Scopriamo anche che il periodo della gloria è da tempo finito: gli affari vanno male, l'uomo d'affari risulta sul lastrico: deve vendere la casa perché non gli rimangono più liquidi e, continuando ad ostentare lussi ormai divenuti indispensabili, l'uomo sta intaccando anche i risparmi accumulati per l'avvenire dei due figli studenti.
Ecco che Jean comincia a rendersi conto che il clima sta cambiando: il padre che licenzia prima l'autista fidato, amico fidato sin da bambino del ragazzo e padre di un suo compagno ed amico di scuola; poi è la volta della cameriera, cacciata col pretesto del ritrovamento di foto licenziose e compromettenti; poi quella della cuoca, che si licenzia perché non pagata da oltre tre mesi.
Altri creditori accerchiano l'intimità di una famiglia che inizia in quel momento a comprendere cosa significa vivere senza certezze né gli agi che fino a poco tempo prima facevano parte integrante della quotidianità.
La rovina economica e sociale della famiglia, permette tuttavia al giovane Jean di rivalutare obiettivamente i veri valori e i sentimenti che fino a poco tempo prima venivano sepolti dall'opulenza e dalla superficialità, mettendo da parte pregiudizi di ogni tipo, anche razziali, che invece costituivano una discriminante fondamentale del pensiero di famiglia.
La descrizione accurata e drammatica di una caduta senza fine: questo è Casa Grande, un esordio considerevole che ci spinge a tener d'occhio il suo giovane e promettente autore.
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