Regia di Josephine Decker vedi scheda film
“In ogni uomo combattono due lupi. Uno rappresenta la bontà, l’altro il male. Quale lupo sta vincendo?”…
Josephine Decker usa la sua lente digitale per poter fissare l’ancestrale nostro, e sfoca e rimette a fuoco il mito per tentare di ottenerne un po’ di succo antropologico. Anche una stilla di nettare antropofago le andrebbe bene, vista la sospensione di termini e l’acutezza di tutto questo vago dimenare il plot che barcolla tra un ‘wild tale’ e, a tratti, sconfina in un orrore contratto che si annebbia e vola e si riposa alla corolla come un’ape impazzita. Una forma argentina, chiara – quantunque non lineare – di slasher canticchiato in honky tonk.
Certo una piccola, sorprendente epifania nel bel mezzo di questo guado generazionale e produttivo, mentre si smolecola il classico ordine circoncentrico (mainstream, indipendent, b-movie) del cinema americano del nuovo secolo/millennio, e prende forma un nuovo schema. Un planetario asimmetrico, e lo vediamo dunque ‘eccentrico’, dove un’opera ‘di genere’ attraversa lo spirito dell’autoproduzione e, sussumendo tratti di qua e di là, arriva a planare su un’idea di classicità del racconto (non una sola sbavatura d’armamentario ‘radical-chic’ troverete, non una minuscola strizzatina d’occhio al grand guignol che imperversa nell’horror che fa cassetta e seduce le masse), che è sintesi e allo stesso tempo ridotta antitesi di se stessa.
“Il mio amore non è caduto dal cielo o è saltato fuori dalla terra. Il mio amore non ha mani, come le mani che ho conosciuto”…
In “Thou wast mild and lovely” questa arringa pretoriana verso un’ide a Marzo per il Gaio-Giulio-Cesare-Block-Buster, trova lentamente/inesorabilmente lame e cesoie e coltelli e metalli e bastoni e mani e braccia pronte a colpire alle spalle. A ficcare i fendenti dentro al petto borioso di un padre che ha azzannato la propria figlia, e l’ha rinchiusa nel sonnacchioso mondo del “così si fa”. Qui è tutto un divenire alchemico, che non vuol dire caotico insieme ma prostrato al divino insegnamento della mente dell’artista. Non al vademecum della produzione, o alle bizze di un pubblico colto e vacuo allo stesso tempo.
Un film liberatorio, prima che liberato. Un’opera cinematografica che diventa quasi un organismo psicofisico; che respira, che appanna l’obiettivo, che trema, che ruota, che sferza e che ritorna lì dove aveva lasciato tracce di saliva di desiderio. Sputi di sangue. O piccole gocce di sperma.
Cosa ha costruito, quindi, la Decker?
Facile rispondere che stiamo gustando la classica storiella di confine tra l’uomo e la donna, Prometeo e Pandora, quel prendere le distanze tra la razza degli uomini e quella degli dei e degli animali; ma davvero “Thou wast mild and lovely” è cinema sovversivo, più moralmente (con quel giro tra l’inconscio ed il selvaggio che giunge netto agli inferi, e risale verso un’ultima inquadratura di cielo terso e pacato) che esteticamente (anche se certe composizioni e certe ‘messe in scena’, davvero contengono abbastanza classe e lo spirito che si richiede).
E’ una superficie di dramma senza tempo? No. Forse un vuoto d’inquietudine nel buio sostrato della nostra contemporaneità. Comunque ‘qualcosa’ che va visto.
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