Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film
La preistoria come non-storia? L’estetica del sacco di iuta, con la sua ruvida uniformità e le sue selvagge sfilacciature, viene qui applicata a scenografia e sceneggiatura, in nome di una teatralità rozza, che la regia tagliuzza alla bell’e meglio, ricavandone insipidi frammenti. Se lo scopo era presentare un innovativo tipo di realismo, grezzo e informe come l’umanità bruta e incolta raffigurata in questo film, l’operazione può dirsi ben riuscita anche se – va aggiunto – a spese dello spettatore. Altrimenti l’esperimento è destinato a rimanere tale, incompreso e privo di seguito, sterile d’idee e di suggestioni, a parte, forse, l’intento – artisticamente poco sviluppato – di ritrarre le vicissitudini umane (la procreazione, il lavoro, la guerra, il suicidio) non come i frutti delle emozioni (l’amore, la passione, l’odio, la disperazione), bensì come azioni meccaniche, prodotte da bestie che, al posto dei sentimenti veri e propri, possiedono solo istinti razionalmente disciplinati. Questo spunto, ben inteso, non basta comunque a giustificare un’opera in cui una trentina di uomini e donne, privi di nome e di identità, si esibiscono, davanti alla cinepresa, in una sorta di convulso viavai, intervallato da resse di varia natura, in un flusso disomogeneo che non solo ostacola il procedere del racconto, ma, addirittura, impedisce il formarsi di qualunque significato. Mancano, oltre ai punti fermi da cui trarre conclusioni, anche le situazioni irrisolte, da cui partire per formulare interrogativi. Sotto il segno dello scorpione è un’opera affetta da una superficiale forma di ermetismo, che non sembra aver nessuna voglia di farsi capire: in effetti in questo film, tutto ciò che accade appare come un discorso a sé, che sembra impossibile inquadrare in un contesto generale, se non in quello di una primitività non compiutamente definita, e sommariamente tradotta in bozzetto.
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