Regia di Simon Staho vedi scheda film
La precarietà dell'esistenza umana è già riassunta nei primissimi minuti dell'opera: un uomo viene licenziato su due piedi, un altro investe e uccide suo figlio, involontariamente. Quando si pensa di avere raggiunto il colmo delle tragedie, ecco che la vita ci spiega che stava solo scherzando: può regalarci ben di peggio; e al protagonista di questa pellicola le cose andranno davvero sempre più disgraziatamente, in un continuo precipitare degli eventi, in preda a un destino malevolo in maniera persino bizzarra. Cinema nordico: regista danese, co-produzione con la Svezia: la provenienza della pellicola si intuisce fin da subito, vuoi per gli ambienti (e soprattutto gli esterni, in prevalenza) in ogni senso freddi, vuoi per le tematiche impegnative e scabrose, trattate con la massima normalità e senza alcun intento provocatorio, vuoi per quel sottile substrato di ironia macabra che scorre lungo tutta l'opera. Per Simon Staho è il terzo lungometraggio e, come nel precedente Day and night (2004), ha a disposizione come protagonista il bravo Mikael Persbrandt; e proprio in una sorta di prolungamento del lavoro dell'anno prima, girato completamente all'interno dell'abitacolo di una macchina, questo film si apre inquadrando un guidatore al volante, scena che ritornerà spesso nel corso del film; fra gli altri interpreti si segnalano Lena Olin e Michael Nyqvist. Staho si fa aiutare in sceneggiatura, anche qui per la seconda volta consecutiva, da Peter Asmussen; la storia è narrata con grazia e con la sufficiente delicatezza, anche se disturba l'approccio simil-hollywoodiano (forzato, privo di logica) al lieto fine, assolutamente non obbligatorio in questo contesto. 5/10.
Accidentalmente Ake, padre di famiglia, investe e uccide il proprio bambino. La famiglia gli volta le spalle, la moglie chiede la separazione, il datore di lavoro lo licenzia. Per Ake comincia una nuova vita, pur continuando a cercare di riavvicinare in ogni modo la moglie.
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