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Frogs

Regia di George McCowan vedi scheda film

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La recensione su Frogs

di scapigliato
8 stelle

“Frogs” ovvero “L’Inquietante Milland”. Chi cerca un eco-vengeance sanguinario non lo troverà nel film di McCowan. Qui tutto è alluso. La morte c’è, ma si vede poco. Solo una delle morti del ristretto body-count viena descritta per intero attribuendole i crismi di un vero attacco: la morte dell’anziano figlio del padrone di casa divorato da un alligatore. Per il resto la costante presenza delle grosse e inquietanti rane (un “coro greco” dice giustamente Davide Pulici di “Nocturno”) incornicia una serie di fatti di sangue senza sangue, dove la natura si ribella palesemente, anche “stregonescamente”, a chi popola quella villa sperduta nella palude. Sicuramente non dare spazio all’architettura degli attacchi, riducendone la coreografia a soli accenni ed ellissi, non è solo una scelta tecnica per supplire ad una pochezza di mezzi ed effetti speciali come l’attacco dell’alligatore ci mostra bene essendo quasi inguardabile, ma è bensì un’intenzione autoriale che porta il film in una direzione di non definibilità, e per ciò, ancora più inquietante. Non si sa cosa diavolo sia successo, non si sa cosa diavolo bisognerebbe fare; i protagonisti non sanno cosa aspettarsi manco fossero personaggi di Beckett; non si sa come andrà a finire, e in ultimo non sappiamo se sta succedendo in tutto il mondo, come il finale ci lascerebbe presagire. La netta troncatura con cui s’interrompe la vicenda personale del patriarca interpretato da Ray Milland, che giustamente scavalca il protagonista Sam Elliott nei titoli di testa vista la sua importanza narrativa in tutto il film, è un altro segnale della voluta non definibilità della trama e degli eventi. Assistiamo ad una precisa schiera di animali, tutti di palude e acquitrini, che senza un preciso istinto predatorio s’avvicinano alle loro vittime con una naturalezza che non farebbe pensare poi alla morte. Certo sappiamo che la zona è inquinata, e la responsabilità è del patriarca Milland che continua a non vedere la tragedia incombente, ma vuole solo festeggiare il giorno dell’Indipendenza proprio da bravo americano. Il film di McCowan quindi, si infila di diritto tra i veri eco-vengeance (non saranno mica tali i film in cui l’animale è la minaccia mortale della storia?) che vedono la natura al gran completo intervenire tragicamente e con coscienza (non si tratta di calamità naturali) sul destino dell’uomo.
“Frogs” però ha caratteristiche che non possono essere rilette diversamente da quello che sono. Parlo di tre caratteristiche in particolare che incidono prepotentemente sull’intenzione ultima del film e senza le quali credo non si possa parlare di “Frogs” come un film che va più in là di quello che racconta. Sto parlando degli agganci con “Alamo”, con le piaghe bibliche e con il southern-drama.
Ray Milland è il grande capo, il grande patriarca che di cognome fa Crockett come il David Crockett che difese Alamo dall’assedio dei messicani. Ruolo, questo, interpretato da John Wayne che ne fu pure il regista nel 1960. E’ un caso che il doppiatore italiano, Emilio Cigoli, sia lo stesso di Wayne e di Milland in questi due film? Milland patriacarca difende la sua villa, la sua nauseante e retorica tradizione e il suo retrivo patriottismo tanto quanto Wayne difendeva il fortino dai messicani. In “Frogs” si parla di rane, là di messicani, ma la storia è la stessa. Ecco che il film di McCowan acquista non solo lo spessore di un eco-vengeance autoriale, ma deforma il mito americano della “difesa” come qualcosa di disumano, stupido e patetico. Affondandolo nella mostruosità.
Le piaghe bibliche tornano in “Frogs” proprio per quella pioggia di rane inarrestabile. Non verranno giù dal cielo, ma la loro continua apparizione ha ugualmente il fascino terrificante dell’apocalisse. E di apocalisse si può benissimo parlare per “Frogs” come di qualunque altro eco-vengeance in cui la natura si ribella. La lettura biblica del film deve però essere personale. Fermo restando che la Bibbia è un grandissimo testo letterario, è ovvio che i cristiani ne facciano un uso più ragionato, o almeno si spera. Ecco che l’assedio anfibio di rane, sauri, serpenti, sanguisughe, alligatori e addirittura placide testuggini porta i segni della catastrofe ultraterrena, del castigo di Dio tanto temuto. Ma quando arriva i protagonisti non se ne accorgono o comunque non vogliono crederci. In una situazione di pace e quiete normale tutti temono di leggere un giorno i segni del castigo divino che giungerà ogni volta che l’uomo peccherà, ma appena si trovano davanti al vero pericolo che può anche assumere i segni del castigo divino, quei tutti diventano miscredenti e primitivi: cercano solo di salvarsi buttando alle ortiche secoli di dogmatismi. Lettura, questa, un po’ forzata, ma che viene istintiva fare davanti ai tanti simbolismi anfibio-biblici del film.
Infine, l’ambientazione e i toni non possono che condurci verso il southern-drama. Poteva benissimo essere un’opera di Tennessee Williams quella di “Frogs”, almeno come idea, poi siamo sicuri che il grande drammaturgo sureño avrebbe fatto di meglio. Ciò non toglie che si respiri una soffocante aria decadente, di aristocrazia fatta a pezzi, di conservatorismi e tradizionalismi che sanno di marcio, che puzzano di morto. Ray Milland è già morto quando inizia il film. Nella sua prima apparizione mostra tutta la sua acidità verso un mondo, quello del giovane ambientalista Sam Elliott, a cui non vuole credere. Un mondo che lo terrorizza perchè votato alla destrutturazione del suo proprio mondo, fatto di gerarchie, di sovrastrutture di poteri feudali, di domgi e di “sì fa così perchè si fa così”, di tradizioni, patriottismi, retoriche e tante altre postille culturalmente povere, zeppe di ignoranza medieval-borghese. Una villa, o un fortino, che inquieta solo nel suo mostrarsi accerchiata da una palude ferina, che vive, pulsa e sprigiona i suoi mortiferi agenti assassini. “Frogs” non è solo un film ambientalista che con l’elisione della morte o la sua messa in scena metafisica vuole additare l’uso improprio che l’uomo fa della natura, ma è anche un film che condanna tutta una mentalità che non porterà a nulla di buono. E a testimoniarlo ci sono quelle grosse rane sornione che sembrano dirti “stiamo venendo a prenderti”.

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