Regia di Mona Achache vedi scheda film
I titoli di testa di Les Gazelles di Mona Acheche sono già di buon auspicio per la buona riuscita di una pellicola sul filo dell’anarchismo e della speditezza più assoluti: le scritte di attori e troupe appaiono sugli oggetti, scritti sulle lavagne, nei post-it, digitati al computer, stampati su scartoffie da firmare, gettati frettolosamente alla rinfusa nelle prime immagini del film, per arrivare infine alla messa in mostra del titolo sotto forma di gigantesco murales, firmato in basso a destra dalla regista francese Mona Acheche, già regista de Le hérisson, tratto dal mediocre romanzo di Muriel Barbery. Distaccandosi da matrici letterarie, e dando ampia libertà di montaggio (a cura di Béatrice Herminie), la Acheche genera un vivace e divertente pasticcio sopra le righe, brillante quanto a volte irritante, ostentato, ma sempre capace di bruciare, in velocità, la sequenza immediatamente precedente per lasciare intrufolare la sveltezza di quella successiva. Si rende noto, in particolare, il lavoro del montaggio, perché la Herminie fa un lavoro micidiale, sovrapponendo le sequenze e alternandole con una rapidità tale da lasciare infiltrare nelle sequenze meno prevedibili squarci sbiaditi di nostalgia, o sgualciti indizi del flusso di coscienza della protagonista, e amplifica enormemente l’effetto comico della sceneggiatura ricalcando in ritmo e andamento la verve dei dialoghi.
Marie, non troppo giovane lavoratrice un po’ annoiata, riceve in studio la visita di una vecchia amica che le racconta della sua vita giovanile e fresca di amorazzi e scappatelle, e tutt’ad un tratto la protagonista decide di lasciare tutto (le promesse di vita tranquilla e calma con il fidanzato Eric), e di prendere per mano la propria vita, facendo una nuova serie di burrascose amicizie e scoprendo in qualche modo la crudeltà degli uomini, e la bontà di certe persone. Il pregio fondamentale della sua storia, raccontata con ellissi per nulla pesanti, ma con continui scarti ossimorici quasi destabilizzanti (e dispersivi), è nella maniera in cui è messa in scena. La Acheche cerca di celare il più possibile l’immancabile sopravvento edificante, lo nasconde sotto mentite spoglie negli strampalati eventi che accadono a Marie, ed eventuali derive femministe vengono bruciate dalla splendida, irriverente imperfezione delle donne che diventano amiche di Marie, la cui vita sfrenata ed eccessiva non viene mai banalmente celebrata, ma riproposta dall’interno, come a volerne raccontare in tempo reale le rapide piccole soddisfazioni e le più longeve, successive, malinconie.
Les gazelles sono proprio le donne, nel film di Mona Acheche, figure femminili che si prendono alcune rivincite e sono troppo deboli per sognare davvero il principe azzurro. Il gioco dello stereotipo è condotto saggiamente dalla sceneggiatura, che crea personaggi assolutamente strampalati (la Véronique col cane depresso, l’amica fissata con lo sport domenicale, il muratore polacco), e vira tutto verso il grottesco per essere meno possibile preso sul serio (anche se certe parentesi sembrano lasciar trapelare autorialismi un po’ posticci). Il finale, audace e interrotto, è espressione prima del coraggio della Acheche, che diverte davvero raccontando con più isterismi possibili la metamorfosi di Marie; peccato appunto che la leggerezza non si tramuti mai non tanto in riflessioni profonde (mica seriose, Dio ce ne scampi), ma rimanga abbastanza fine a se stessa, funzionale al divertimento ma non allo scandaglio (seppur in senso lato, e non pesantemente introspettivo) dei personaggi. Forse anche questo è un buon segno, i personaggi non evolvono in meglio, ma rimangono nella loro simpatica mediocrità fricchettona. Nel dubbio, ci diciamo comunque soddisfatti della prova, e aspettiamo la Acheche per prossime avventure.
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