Regia di Bas Devos vedi scheda film
Un ragazzino assiste ad un omicidio di cui è l’unico testimone. Convivere con quell’evento non sarà semplice, anzi, avrà un effetto deleterio sul suo sviluppo, che sarà fatto di isolamento e incapacità di comunicare.
La storia di Jesse, ragazzino dalla vita apparentemente normale, ma sconvolta da un evento traumatico, è raccontata dall’esordiente belga Bas Devos con uno stile peculiare, fatto di poco sonoro, dialoghi rarefatti e totale assenza di accompagnamento musicale. Una cornice ideale per raccontare l’immobilismo del protagonista e la sua incapacità a vivere una vita scevra dai pensieri più torvi (rappresentati da interludi sfocati e flashback tra l’onirico e il visionario). Parabola riflessiva dallo stile piuttosto riconoscibile, ma dai ritmi estremamente sincopati: un modo di dilatare i tempi che anche Bèla Tarr o il più integralista dei registi asiatici d’essai rischierebbero di considerare eccessivi e inaccettabili.
E se ci si sposta sulle scelte registiche le cose non vanno meglio: un minimalismo tecnico, al limite dello sperimentale, che ingabbia lo spettatore in un vortice di tedio perenne. Il regista si dilunga, nonostante l’insignificanza e la scarsa funzionalità, ed oltre ogni ragionevole criterio, magari attraverso uno svogliato piano totale, su cameriere che sbarazzano, spazzini nell’esercizio delle proprie funzioni, addirittura scorci di tinelli in penombra. La sensazione è la stessa che si ha quando si è assorti nel fissare a caso un elemento qualsiasi, con la vita intorno che pare quasi fermarsi. Non ne giova la fruizione, al punto che si potrebbe tranquillamente abbandonare lo schermo per qualche minuto, dedicandosi magari a inevitabili pulsioni fisiologiche, senza perdere il senso del film.
Un’insensatezza registica che non può banalmente giustificarsi nel tentativo di immedesimarsi nell’apatia indotta del protagonista. Il senso di angoscia sale, ma nell’animo dello spettatore. Che si augura ardentemente accada qualcosa, anche la più insignificante, purché accada. La delusione prende il sopravvento quando nemmeno con l’ultimo frammento di visione questo “Violet” si scuote di dosso il torpore in cui sguazza per 80 interminabili minuti.
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