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Violet

Regia di Bas Devos vedi scheda film

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La recensione su Violet

di mck
8 stelle

Diary/Survival (of the Dawn) of the Dead. Il 15enne Jesse assiste - scopertosi impotente, resosi (come noi) spettatore e per questo impossibilitatosi a reagire - alla morte violenta dell'amico Jonas per mano di altri due ragazzi loro coetanei. E ora tutti - adolescenti e genitori - gli caricano addosso uno sguardo ch'egli cerca di restituir loro.

 

 

Viole(n)t Paranoid Ken (Araki-Korine) Park in Flandres.

« E' tutta esperienza, dispiace solo che debba essercene così tanta. » 
Kingsley Amis, citato da : Martin Amis - “Experience” - 2000
( traduzione italiana di Susanna Basso, “Esperienza”, Einaudi, 2002 ).

 


Violet”, primo lungometraggio del regista belga, classe 1983, Bas Devos, da lui scritto e diretto dopo quattro cortometraggi [ nell'ordine : “Taurus”, 2005 - Pillar“, 2006 -  “the Close”, 2007 - “We Know”, 2009 ( quest'ultimo girato in formato 1:1, hasselbladiano ) ], è un manualetto/trattatello di spellicolante carne filmocinetica : il discorso sui dispositivi metacinematografici ( videocamere di sorveglianza, fotocamere di telefoni cellulari, lavoro di postproduzione sui singoli frame, installazione artistica multimediale, etc...) c'è, ed è in parte - a proposito dell'eterna e imperitura ( per esempio krausiana ) diatriba tra forma e sostanza e dell'immortale e cronico dibattito su stile e contenuto - succedaneo alla narrazione

 

[ il mosaico composto dagli apparati di trasferimento dei segni (e) della realtà lo ritroveremo riproposto attraverso varie forme, ognuna col proprio differente e particolare contenuto, ognuna un diverso cargo e carico di significato e significanti, trasfigurato lungo tutto il procedere dell'opera : dall'inq.ra in esterni e notturna dell'abitazione ( della famiglia dell'amico morto assassinato di fronte ai suoi occhi bloccati aperti e arti impietriti ) immersa nel buio che pian piano prende vita visibile via via illuminandosi vano per vano e "rivelando" mondrianamente la normale suddivisione in compartimenti "stagni" della facciata aperta al mondo ( una metafora "spinta", forse retorica, ma delicata ), ogni finestra che si accende ( ingresso, sala, cucina, camere da letto ) una vita toccata dal dolore e dalla perdita che ne occupa e abita lo spazio e il momento ( com'è del resto quella di chi osserva gli abitanti della casa dal back/front yard : il PdV di Jesse verso una famiglia distrutta, quella dell'amico e ''di rimando'' la sua ), alla scena - che può richiamare alla memoria una sequenza del "BadLands" di T.Malick nella quale W.Oates dipinge il cartellone pubblicitario sul trabattello dell'impalcatura-ponteggio - in cui il padre di Jesse - che s'è fatto accompagnare sul posto mobile di lavoro dal figlio -, con l'aiuto del ragazzo, sfila dal multiplo cartellone pubblicitario le strisce di pvc morbido stampato che vanno a comporre una delle immagini finali e complete in esso contenute ],

 

ma quel che conta è il ritmo poderoso generato dalla ''pura'' bellezza delle inq.re e dei movimenti di macchina, dei piani-sequenza, del racconto equal-same-like than life, del tempo che scorre e viene colto nel suo naturale divenire ( non è una perdita ma una conquista di/del tempo, dumontiana ), e - dio mi perdoni - dell'...atmosfera che il montaggio dilatato riesce a restituire, e, ancora, non ultime, delle "pennellate", alla Stan Brakhage, nei ''fotogrammi'' di raccordo, qui lavorando però ovviamente non solo su pellicola ma anche col digitale ( tranne gli ultimi 10/15 minuti girati in 65mm ), con sovrimpressioni, solarizzazioni e sovraesposizioni : il giovane e semi-esordiente regista già dimostra insomma una maturità invidiabile oltre che raggiunta, e si avvale di un cast artistico e tecnico che pesca nella limitata ma non limitante pozza fiandro-fiammingo-vallone-nederlando-beneluxese ( zona middle-working class ) : il comparto attori mimetico e centratissimo [ il protagonista Cesar de Sutter, i componenti la famiglia e l'eterogeneo ( dalla pre-adolescenza all'età adulta ) giro di amici bikers (BMX) del suo personaggio, tutti, prepotentemente reali ],

 


il montaggio (Dieter Diependaele) che restituisce una scrupolosa gestione del ritmo dell'elaborazione del lutto e della colpa in atto ( a incominciare dall'ellissi temporale tra l'evento traumatico, il danno, e il lavaggio casalingo e materno dell'altrui amicale sangue dal viso e dalle mani, e da quella più breve tra la foto sullo smartphone pescata nel web e il cazzotto dritto in faccia, e ancora quella tra la fuga notturna e il ritrovamento con recupero a cavalcion spallaccio mattutino ),

 


e la fotografia { Arri Alexa / 65mm - 4:3 / 1.33:1 [ rapporto tenuto costante senza l'effetto fisarmonica ( dall'1:1 all'1.85:1 ) propalato ( tempo dopo ) da Xavier Dolan in "Mommy" ] }, contrastata e satura, di Nicolas Karakatsanis [ in lavoro simbiotico col regista - tra vetri, schermi ( multimedialità redacted ) e specchi, e brecce, crepe, spiragli e contatti - e col sound designer, Boris Debackere ],

 


che mette in opera un uso performante della profondità di campo [ dovuto sia a precisa volontà sia a compromessi sul set ( limitata, stretta e mossa lungo il tridimensionale asse immaginario obbiettivo-orizzonte : focali medie (50mm) e fuoco wide open (0.9) : con un tal diaframma la porzione nitida dell'immagine è ridottissima, e si viene a creare una specie di effetto miniatura non sul paesaggio ma su scala umana : corpi, persone e oggetti ritratti limpidi solo in quella minuscola e sottile re-sezione di spazio bi(tri)dimensionale ]   

 


e un utilizzo sapiente del colore [ due differenti tipi di pellicola Kodac Vision ( coi quali sono stati girati, ultimamente, giusto per fare qualche titolo : "There Will Be Blood" e "Bright Star" (K.V. 2 50D 5201), e "Saul Fia" e "the Hateful Eight" ( K.V. 3 500T 5219) ],

 


inscenando split-screen artigianali ( rivelatore zoom all'indietro dal/dai monitor di sorveglianza a circuito chiuso in sequenza ciclica e randomica ), destreggiandosi tra le dita rosate di albe e tramonti sul far del mattino e al calar della sera, tra il rischiarare e l'imbrunire, dipingendo stroboscopicamente al neon e riproducendo in significanti e significativi esercizi di stile mai gratuiti o sterili e sempre insorgenti empatia e senso e significato ulteriore un pattern-arcobaleno-tavolozza spaziante dagl'interni di Vermeer passando per gli en plein air urbani di Hockney ai notturni di Hopper, e giocando con l'iper/infra realtà dello Street View di Google Maps/Earth, e che ci lascia d'improvviso scoprirci meravigliosamente attoniti di fronte ai riflessi di luce del sole s'una finestra liberata dalle tende e dagli scuri.

 


Una nota a parte per l'utilizzo di “Violet” [ Forced in Light / [...] / I am Home ] dei DeafHeaven. E un bacio, un abbraccio e una risata condivisi. Mentre l'ultima scena in piano-sequenza per mezzo di steady-cam irradia l'inversione termica di un'adolescenza condensata e precipitata al suolo. Verrà tutta una vita - in un collasso di rigenerazione temporale da matita rossa perpetua - per struggersi dolcemente in un ricordo doloroso che nacque da un rimorso, andava sfociando in un rimpianto e sfumerà, sfuma, ed ecco, è sfumato, al sole dei giorni a venire.   

 

… 2.35:1 → 1:85:1 → 16/9 (1.77:1) → 4/3 (1.33:1) 1:1 → 1:1.35 (79x107) … Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907) - Ricordo di un Dolore (Ritratto di Santina Negri) - 1889 ( Accademia Carrara, Bergamo - Olio su Tela, 107x79 cm ) : da notare - oltra agli occhi, le mani, la bocca - la viola del pensiero essiccata a segnalibro tra le pagine del volume tenuto aperto adagiato in grembo ]

 

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Il film [ * * * ¾ - * * * * ] è noleggiabile passando dal link posto qui di seguito [ http://streaming.filmtvod.com/violet ] o cliccando sulla finestra inserita qua sotto :

  

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