Regia di Emanuele Caruso vedi scheda film
Esempio di produzione “dal basso”, tramite crowd funding, e distribuita con caparbia, nell’arco di mesi, lungo lo stivale, l’esordio registico di Emanuele Caruso ha il coraggio di tentare la via italiana al filone apocalittico, ma non tutte le carte in regola per fronteggiare la fine del mondo. Ambientato in un piccolissimo paese delle Langhe e recitato in gran parte in dialetto piemontese, E fu sera e fu mattina ha alcuni pregi: si pianta saldamente sul suo territorio, rinchiude l’armageddon incipiente fra le quattro vie di una cittadina della profonda provincia dove perfino la notizia che il sole sta per esplodere diventa fonte di pettegolezzi, astio e invidie personali. Il tg approssima la Fine a una cinquantina di giorni;?il “matto del villaggio” tiene il countdown barrando croci sul muro, mentre un parroco dai modi anticonvenzionali si giostra fra una manciata di anime in pena, anch’esse, come lui, controcorrente rispetto al gregge. Caruso non si accontenta della quantità già pericolosa di carne al fuoco (il rapporto tra fede e mortalità; l’ipocrisia del piccolo nucleo che attacca i diversi; la maternità e la colpa) e tenta di tracciare il destino dell’umanità tramite i fili debolissimi di personaggi scritti approssimativamente e poggiati su interpretazioni insufficienti. Il teatro di un’apocalisse minimale scivola allora verso la soap, insegue il moltiplicarsi dei significati senza dare tregua allo spettatore né ai protagonisti, e smarrisce nel sentimentalismo la via di un potenziale dramma dell’assurdo.
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