Regia di Dietrich Brüggemann vedi scheda film
Macchina fissa, quadri di lunga durata, sadismo spettatoriale messo in crisi. Il cinema laico di Michael Haneke, in costante ricerca di aporie dello sguardo (avete risolto l’enigma al centro di Niente da nascondere? E quello di Il nastro bianco? E vi siete chiesti il perché?), s’è fatto modello da imitare, portare al parossismo caricaturale. Da Lourdes sino a questo Kreuzweg - Le stazioni della fede, passando per la nuova onda greca e il polacco Corpi (vedi recensione a pag. 22), il cinema europeo si propone di frequente come parodia politica del cinema di Haneke e in generale del cinismo contemporaneo: quadri familiari come vignette fumettistiche (colore saturo, tratto grottesco), mesto che confina col ridicolo, nichilismo così radicale da non credere nemmeno in se stesso, ricerca del dubbio che finisce per essere domanda di fede (Lourdes, Kreuzweg, Corpi terminano su un miracolo). Le stazioni della fede è una via crucis che - come Sette opere di misericordia - aggiorna il lessico religioso ai paradossi del contemporaneo, pianisequenza che sono tappe di una giovane donna di chiesa estremistica cattolica (vedi alla voce Lefebvre, con ogni evidenza) verso l’abbandono assoluto all’amore di dio (come la Hadewijch neo-islamica di Bruno Dumont): la famiglia, soprattutto, e tutto il consesso sociale non sono in grado di comprenderla. E lo spettatore? A lui il compito di discernere tra satira e tragedia, di esercitare un’etica dello sguardo.
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