Espandi menu
cerca
Fuochi d'artificio in pieno giorno

Regia di Yi'nan Diao vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Kurtisonic

Kurtisonic

Iscritto dal 7 agosto 2011 Vai al suo profilo
  • Seguaci 88
  • Post 2
  • Recensioni 430
  • Playlist 4
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Fuochi d'artificio in pieno giorno

di Kurtisonic
8 stelle

scena

Fuochi d'artificio in pieno giorno (2014): scena

Che l’Orso d’oro ottenuto a Berlino nell’edizione 2014 sia il preludio per una carriera di successo  in campo internazionale pari a quello assegnato ad un altro cinese, l’illustre Zhang  Yimou all’esordio con Sorgo rosso? Di certo se Zhang Yimou ha notevolmente variato i temi del suo cinema passando dallo storico e sociale fino al wuxia, il regista Yinan Diao fa della contaminazione dei contenuti e della destrutturazione dei generi, la sua cifra stilistica più evidente. Fuochi d’artificio in pieno giorno ha le sembianze del più classico dei noir, ma la sua storia e la sua struttura sono prese a pretesto per descrivere lo stallo o la presunta evoluzione di una società ancora tenuta fortemente sotto controllo da parte del potere politico. Se con film significativi e recenti come Il tocco del peccato di Jia Zhang-Ke abbiamo ammirato la stilizzazione violenta dei rapporti sociali, in questo lavoro Diao punta lo sguardo molto più in profondità, con un continuo e spiazzante ribaltamento dei  valori, usando particolari grotteschi, momenti surreali esilaranti, che spostano di continuo l’attenzione del pubblico dalla realtà peraltro abbastanza scontata della vicenda verso un esterno, un fuori campo che determina quasi tutta l’azione del film. Innumerevoli saranno le inquadrature dove l’azione è omessa e confinata fuori dallo schermo e limitata al sonoro, mentre la regia coglie il dettaglio, l’evidenza neorealista. A distanza di cinque anni, il poliziotto Zhang Zili, emarginato anche sul lavoro perché devastato dall’alcool e dalle sue ossessioni, torna ad indagare per conto proprio su di un caso di ritrovamento di cadaveri fatti a pezzi e ritrovati nelle fabbriche del carbone. La presenza di una donna che lavora in una lavanderia filtra e orienterà le indagini e l’interesse dell’uomo sempre più disilluso dalla vita. Per quello che è strettamente legato alla raffigurazione del racconto, non sono la donna, la classica dark lady, la polizia inetta e corruttibile, o l’arroganza dei rapporti di potere a portare discontinuità al genere, tutto come prevedibilmente avvolto nell’atmosfera di rito, dove prevalgono ambienti in penombra, fra oscurità indefinite e veri e propri scoppi di colore talmente fugaci dallo scomparire presto dalla memoria del pubblico. L’asso nella manica è rappresentato dalla discutibile moralità del protagonista il cui codice comportamentale lo espone costantemente al giudizio dello spettatore che gradualmente si accorgerà di come questa figura non serva tanto per interpretare gli eventi, ma per testimoniare una condizione sociale e umana, quella del disagio esistenziale dell’individuo  nei luoghi del lavoro quanto nel resto del suo quotidiano. Il nero del carbone dove giacciono i resti dei corpi  sottolinea  il deterioramento e il disfacimento di un corpo sociale, di una comunità stravolta dal progresso che non è più in grado di gestirsi con i valori tradizionali. Si contrappone al biancore abbagliante della neve e delle strade ghiacciate dove è difficile restare in equilibrio, è la condizione per avvicinarsi alla verità, ad una realtà che non può che congiungersi all’oscuro, alla morte fisica e dei sentimenti. I codici comportamentali dei personaggi si sovrappongono confondendosi e minando di continuo le certezze degli spettatori. Ancora dal punto di vista formale non si possono non citare le numerose sequenze con passaggi scenici tanto creativi quanto inaspettati al limite della comprensione, e questo potrebbe anche disturbare in qualche modo lo spettatore meno paziente. Su tutte però vanno evidenziate quella di una sparatoria dentro un salone da parrucchiere con tanto di digressioni spazio tempo che riportano al miglior Godard degli inizi, e l’enigmatica chiusura finale dove il nonsense si assume l’incarico di evidenziare il caos, l’indescrivibilità sociale, la schizofrenia collettiva. Semplice cinema citazionista?Forse, ma di gran classe.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati