Regia di Yi'nan Diao vedi scheda film
In L’amore bugiardo c’è un bar. E si chiama Bar. Una tautologia, uno scherzo, nessuno sforzo di realismo. La fine del mondo, per Edgar Wright, è il nome di una birreria. Nemmeno l’apocalisse si può prendere sul serio. Sono cul-de-sac di un immaginario autosufficiente, che basta a se stesso?e si dimentica del verosimile. Un cinema che non vuole responsabilità sul reale. Anche Fuochi d’artificio in pieno giorno è il nome di un locale. Orso d’oro 2014, il film unisce i destini di eccentrici personaggi: il protagonista è uno sbirro che arranca nel proprio trauma annebbiato dall’alcol, l’omicida è uno spettro che uccide con pattini da ghiaccio, la femme fatale è una bella, addoloratissima lavanderina silente. Il noir è il mélo, il comico tragico, tristi notturni s’aprono a squarci ultrapop, i nessi causa/effetto latitano, la detection si perde in digressioni inquietanti e dementi, mesti silenzi si fanno isterica violenza. Come ci insegna Jia Zhang-ke, la realtà della Cina improvvisamente moderna è surrealtà. E queste sono le tracce di un paese instabile, che non riconosce la propria identità e s’abbandona (come tanti autori di oggi, da Lou Ye a Jiang Wen) agli automatismi del genere come a una forma di alienazione. È per questo che, quando i fuochi d’artificio in pieno giorno esplodono sul serio e non si limitano a essere il nome di un locale, ci si commuove. Perché c’è una realtà oltre allo scherzo, al cul-de-sac, all’immaginario alienato. C’è un sentimento, vero.
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