Regia di Stefano Odoardi vedi scheda film
L’Aquila, 2014: l’Inferno. Venti abitanti della città intrappolati, costretti a una convivenza immobile nella prigione dell’atrofia esistenziale. Tra le macerie, le stesse del 2009, si muovono inermi, incapaci di comprendere ciò che ormai da tempo è accaduto, dunque impossibilitati ad agire. «Mi sento innocente. Mi sento nell’Inferno. E mi sento anche incapace di esserci. Che posso fare?»: la mancanza di razionalizzazione impedisce loro l’azione, e Odoardi filma la loro stasi tumultuosa con sguardo partecipe. Ma nell’Inferno c’è un Angelo, portatore di quella consapevolezza negata agli aquilani e veicolata tramite monologhi tratti dalle Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke. «Gli assassini sono facili a capirsi. Ma questo: la morte, la piena morte, prima della vita contenerla così soavemente senza fare i cattivi, è indescrivibile». Talvolta brutale, molto più spesso consolatorio, l’Angelo nichilista interpretato da Angelique Cavallari è l’espediente finzionale inoculato nel documentario, la variabile che fonde le ispirazioni contemplative della rappresentazione della città vuota con attitudini sperimentali di brocaniana ispirazione. Letterario, lirico e teatrale, a tratti forzatamente didascalico (la letterarietà contagia anche gli abitanti, privandoli di ogni spontaneità), questo primo capitolo di una trilogia destinata a Purgatorio e Paradiso impatta la realtà aquilana di oggi nell’unico modo possibile, ben lontano da guzzantiani massimalismi benpensanti, buoni solo a raggranellare facili consensi.
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