Regia di Baltasar Kormákur vedi scheda film
Serata al cinema. Si decide per Everest, sulla carta il meno peggio in cartellone al Multisala. La scelta cade come sempre per il 2D (col 3D pare di essere al Luna Park e gli appositi occhiali danno claustrofobia e mal di testa). Grande cast, storia semplice, spettacolarità. Sulla carta si prospetta la visione di un film denso di epica e buoni sentimenti, dal finale conciliante. Invece ad attenderci c'è una pellicola piuttosto moderna, disillusa, la quale mette subito in chiaro le cose: potendo disporre di un buon portafoglio, chiunque, anche l'individuo meno esperto e preparato, può ambire alla scalata della vetta più alta del globo: l'Everest, appunto. Aziende turistiche, spedizioni commerciali, guide, interessi economici, attrezzature, cordate, aspetti medici, pianificazione, tutto nella prima parte ci viene proposto dispiegando sul tavolo della narrazione abbondanza di nozioni e dettagli, sfoggiando un certo didascalismo mirato ad affrontare poi l'ascesa dell'imponente grande cima. I personaggi sono molti, ognuno delineato a grandi linee basandosi su tratti caratteristici facili da ricordare: l'alpinista veterano e generoso, quello tormentato e alcolizzato, il texano abbiente in cerca di adrenalina, il postino non in perfette condizioni fisiche, il russo dal fisico possente, la giapponese a caccia delle Sette Vette (le più alte di ogni continente), il giornalista estremo (Jon Krakauer, lo stesso di Into The Wild), il dottore al campo base, eccetera …e un manipolo di donne a casa: chi in dolce attesa, chi preoccupata in collegamento radiofonico dalla base, chi a casa nella megavilla di proprietà. Su tutto freddo, sofferenza, estasi, fatica, condivisione, pericolo, panico, morte. Alla montagna non frega alcun che delle decine di uomini in ascesa su di essa. Un'enorme tempesta di neve, vento e ghiaccio spazzerà via la vita di ben tredici persone in un maledetto giorno di maggio del 1996. Girato sulle Dolomiti, a Cinecittà e in Nepal, il dramma ad alta quota di Kormakur riesce a metà. Coinvolge discretamente e racconta con attenzione, coadiuvato da immagini e scene indubbiamente ben girate, ma lascia perplessi per il distacco che in qualche modo crea con i protagonisti, dando la sensazione di volersi concentrare su un collettivo senza amalgama, fatto di individui al di sotto del cui involucro non ci si riesce mai ad addentrare, rimanendo in superficie ad assisterne apaticamente alle disavventure. Manca empatia in buona sostanza. Restano i fatti.
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