Regia di Baltasar Kormákur vedi scheda film
Tutto un po' troppo prevedibile, in Everest. E piatto, pian(ificat)o: come una sorvolata su luoghi di inaccessibile primordiale bellezza al comodo di una poltroncina s'un boeing. Certo il panorama è (furiosamente) spettacolare, e gli scenari sfondi naturali di avventure per pochi eletti (e molti caduti), ma manca di quel respiro che lo elevi al di sopra di un mero survival movie fatto di grosse risorse e tecniche all'avanguardia.
Un supershow "autoconclusivo", sotto l'egida di quel "tratto da una storia vera" posto in apertura che indirizza all'istante nel mood giusto: il didascalismo pare essere l'unica via praticabile tra le rigidità della base narrativa e le altissime esigenze commerciali (la vetta del blockbuster macina-incassi). E i titoli di coda, che informano sulle sorti di protagonisti e familiari, certificano la tombale operazione di facciata (priva di alcuna asperità che non sia il raggiungimento della meta).
Everest sfrutta a pieni polmoni i meccanismi e l'armamentario intero del genere (nonché i precedenti, alcuni dei quali molto noti), con una linearità di approccio, di linguaggio, di utilizzo dei canoni estetico-narrativi-produttivi che preclude qualsiasi rilievo di sottotesti e riflessioni altre. D'altronde, si va sul sicuro con i passi (calibratissimi) dell'impresa (presentazione-preparazione-avvio dell'avventura-imprevisti-difficoltà-conclusione) e si gioca facile con le emozioni (tutto quanto si possa immaginare che ci sia, puntualmente, c'è); non a caso il film ha il suo climax nella drammaticissima telefonata tra il protagonista, Rob Hall, ormai destinato a fine certa, e la moglie incinta all'altro capo del mondo. Lacrime copiose, di tutti: dagli stessi coniugi a colleghi e operatori sul posto, agli spettatori in sala.
Eppure l'opera di Baltasar Kormákur (che aveva finora ben figurato con gli altri suoi lavori, tra i quali 101 Reykjavík, Contraband e 2 Guns) è innegabilmente spettacolare, capace di tenere incollati allo schermo dall'inizio alla fine (la curiosità per chi non conosce la famosa vicenda naturalmente prevale), ma nella maniera più convenzionale e prevedibile e prudente possibile (non v'è traccia, ad esempio, della diatriba sorta tra i sopravvissuti - tra cui il già celebre Jon Krakauer, autore di Into the Wild - in merito alle responsabilità di quanto accadde).
Ben diretto e montato (per quanto in modalità standard), ottimamente fotografato, indubbiamente ben recitato (e grazie al super-cast!), però senza sussulti e profondità (i personaggi saranno stati pure veri ma sembrano abbozzati su modelli prestampati), senza che arrivi, se non di riflesso e per vie ovvie, la forza divina e intimidatoria della grande montagna.
Giunti ai titoli di coda come senza ossigeno, non rimane altro che una banale, primaria, fugace soddisfazione da visione "divulgativa".
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