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Sono nato, ma...

Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film

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La recensione su Sono nato, ma...

di maurizio73
6 stelle

Commedia alla Shochiku dai toni dolceamari, riflette con rassegnato sarcasmo sui rapporti di forza all'interno di una società giapponese sollecitata dai modelli di progresso occidentali ma irregimentata negli schemi di una rigorosa disciplina marziale che attraversa tutti i livelli della vita sociale.

Dopo il trasloco della famiglia in una casetta alla periferia di Tokyo, i fratelli Yoshi devono subito fare i conti con un gruppetto di bulli che li hanno presi di mira e con le difficoltà di ambientazione nella locale scuola elementare. Insofferenti ai soprusi e indignati per l'imbarazzante servilismo del padre verso il proprio capo, i due insceneranno uno sciopero della fame destinato però a durare il tempo di una sola Domenica. L'inizio della settimana rappresenta per loro l'ingresso nel mondo degli adulti e il principio della profonda consapevolezza di un rapporto di forze che non intendono subire passivamente.

 

locandina

Sono nato, ma... (1932): locandina

 

L'autunno dell'infanzia dei fratelli Yoshi

 

Commedia alla Shochiku dai toni dolceamari, riflette con rassegnato sarcasmo sui rapporti di forza all'interno di una società giapponese sollecitata dai modelli di progresso occidentali ma irregimentata negli schemi di una rigorosa disciplina marziale che attraversa tutti i livelli della vita sociale: il padre governa con severità le intemperanze dei figli ma si sottopone agli obblighi di una umiliante deferenza professionale; i figli subiscono i soprusi dei bulli del quartiere e la rigidità dell'ambiente scolastico ma si rifanno col debole figlio del capo del loro padre. Quando proveranno a ribellarsi con lo sciopero della fame a questo modello di comportamento iniquo e vessatorio, saranno messi di fronte alla puerile inefficacia dei mezzi a loro disposizione, accettando l'inevitabile debacle di chi decide di assecondarne le dinamiche sfruttandole a proprio vantaggio.
Montaggio veloce per un metraggio sostenuto (90 minuti sono lunghi per un film muto), alterna le gag di uno spaccato sociale ad altezza di tatami ed a misura di bambino, gli inserti slapstick di scorribande di monelli e la dura realtà di uno scontro generazionale in erba in cui la ricomposizione dei rapporti familiari si relizza, come accadrà spesso in Ozu, attorno al desco domenicale ed all'amara presa d'atto di una realtà fatta di obblighi sociali difficili da madare giù.
Inquadrature fisse che raramente si lasciano tentare dal piano sequenza e rinuncia alla dissolvenza per la definitiva scelta degli stacchi di montaggio, ricostruiscono negli studi tokyoiti la periferia rurale di una città che sconfina nelle campagne, tra le linee dell'alta tensione e l'incessante saliscendi del passaggio a livello, riproponendo le dinamiche relazionali in cui il mondo dei piccoli non puo' che scimmiottare quello dei grandi e dove quello dei grandi viene immortalato in un film dentro il film dove si mettono in scena le sconveninenze morali di un capo su cui glissare e le clouwnesche esibizioni di un sottoposto di cui ridere a crepapelle: un raffinato escamotage teatrale che funge da spartiacque tra le forme della commedia utilizzate nella messa in scena e l'amaro disincanto della riflessione classista che le sottende.

 

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Finale segnato dalla rassegnata presa d'atto dei due giovani protagonisti, appena addolcito dallo slancio ottimista di una bonaria esortazione alla crescita personale ed al progresso individuale nella scala sociale, tema preminente quest'ultimo degli shomin-geki appena successivi come La donna di Tokyo ed il più autobiografico Figlio unico. Una libertà creativa, quella di Ozu, ancora vincolata agli obblighi di botteghino del suo impiego nell'industria cinematografica giapponese, ma già proiettata verso la profondità di temi della sua poetica familiare e l'eleganza formale di una rappresentazione d'ambiente che coglie in ogni elemento della composizione scenografica la sfumatura di un preciso riferimento alla cultura sociale del suo paese. Lavorazione interrotta per la contemporanee riprese di un altro film del regista e distribuzione ritardata a casusa delle riserve di Kido Shiro, manager della Shochiku indispettito dai toni cupi di una commedia che avrebbe dovuto invece assecondare l'ammiccante disimpegno delle contemporanee produzioni americane. Premio per la miglior regia dalla rivista Kinema Junpo per l'anno 1933. Ozu ne fece un rifacimento leggero e autocitazionista con Buon giorno! del 1959, in un periodo di rivisitazione dei suoi capolavori. Passato per la prima volta in occidente alla Tv svedese solo nel 1971.

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