Regia di Dino Risi vedi scheda film
Laveno o Hollywood? Il quesito non è semplice. A porselo è Tony Barozzi, nome d’avanspettaccolo di provincia, che vuole sbarcare il lunario col cinema, materia dei suoi sogni e del suo linguaggio quotidiano: è la grammatica della sua vita, così come delle battute, delle gag e dei lazzi del film. Il volto è quello di Renato Pozzetto che slegato da Cochi riesce ugualmente, per tutti gli anni ’80, a incidere nel suo incedere comico. Il Buster Keaton italiano è qui diretto da Dino Riso e s’addentrano entrambi in un film sul, nel, di, per il cinema. Il risultato appare mutilato di certe riflessioni, ma possiede un’atmosfera rarefatta, da sogno autunnale che la dice lunga forse sul cinema italiano lì a venire. La potenza è tutta nelle mani, o meglio nel volto e nel corpo tutto di Renato Pozzetto. La sua mimica contenuta è implosiva ed esplosiva allo stesso tempo. I tratti del ragazzotto spaesato, del “contadino” che è vero “poeta”, sono tutti li ad evidenziare le opposizioni connaturali tra urs e urbis, tra quella campagna fatta di piccole cose anche insopportabili e quella città caotica e capitalista fatta di sogni e delusioni repentine.
Il ritmo della bella e graffiante regia di Risi è quello delle foglie d’autunno e delle gocce di pioggia sui vetri della macchina. Il regista ci mette semplicemente davanti al movimento triste dell’emigrante, con l’aggravante della sua ingenuità, della sua innocenza che saprà salvarlo (?). Come incontriamo grandi volti del cinema che fu, e che ci regalano uno spaccato di quella forse vera vita davanti alla macchina da presa, come Tognazzi, Gassman e Monicelli, incontriamo anche i volti di piccole persone, piccole nella loro disperazione camuffata da vittoria sociale. Edwige Fenech e Aldo Maccione tirano la fune dalla loro parte e con loro l’Attilio Dottesio vecchio attore del muto in pensione e il Maestro un po’ culo, mica tanto, che attenta alla virilità di Pozzetto attraverso la veritas della recitazione: quasi un’ubriacatura. Le gag che coinvolgono tutti i vari personaggi che il protagonista incontra picarescamente lungo la sua stanza a Roma, tra cui un “rossiccio” Gino Santercole, sono la composizione tragicomica di un puzzle di povertà e aspirazioni sterili, i sogni che fanno il cinema, ma che il cinema non è poi più in grado di mantenere. L’effimero è dietro l’angolo, ed ecco che forse è meglio Laveno. Forse...
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