Regia di Richard Linklater vedi scheda film
Alla base di un film deve esserci una storia: qualcuno vuole disperatamente qualcosa e incontra mille difficoltà per ottenerlo. In "Boyhood" la storia non c'è. Non dubito che possa emozionare qualche spettatore sensibile, magari qualche padre separato. Io ho rinunciato all'ultima mezzora, senza perdere il sonno. Voto: 5,5
La peculiarità del film è, come noto, che è stato girato in oltre dieci anni, per consentire agli attori di crescere e invecchiare insieme ai personaggi che interpretano. Da questo punto di vista, l'esperimento è riuscito. Ci risparmia improbabili trucchi e computer grafica, impiegati in altri film per alterare l'età apparente degli attori, oppure l'estremo ripiego di utilizzare più attori per il medesimo personaggio: da bambino, da ragazzo, da adulto.
I meriti di "Boyhood", però, terminano qui.
Nel suo manuale di sceneggiatura, David Howard ricorda che alla base di un film deve esserci una storia: qualcuno vuole disperatamente qualcosa e incontra mille difficoltà per ottenerlo. In "Boyhood" la storia non c'è. Si affastellano episodi nella vita del piccolo Mason (rectius: della sua famiglia), come un campionario tratto dalla realtà e riproposto sullo schermo. Tutti episodi credibili, ben realizzati, a volte anche significativi. Ma, nell'insieme, dove vanno a parare? Giunto alla seconda ora del film, ancora non avevo capito che cosa diamine volesse il protagonista.
Un regista è libero di fregarsene delle "regole" del cinema e può rivoluzionarle a suo piacimento. Inevitabilmente, però, c'è un prezzo da pagare. Se rinunci alla "storia", è alto il rischio di fallire l'aggancio emotivo sugli spettatori e di perderli per strada, specialmente se proponi squarci di vita quotidiana che non aggiungono molto a quanto sappiamo già.
Il senso di noia è ulteriormente amplificato dalla pletora di personaggi che fanno da comparse nelle varie case e scuole frequentate da Mason. Spesso compaiono per una sola scena e poi non li ritroviamo più. So benissimo che la vita funziona proprio così: quante persone ho conosciuto nella mia infanzia? Migliaia e migliaia. Però, replicarlo in un film è una scelta pericolosa. Il regista decidere di infrangere deliberatamente la regola dell'economia dei personaggi, che suggerirebbe di limitare al minimo i volti e i nomi con cui lo spettatore deve familiarizzare e di riproporglieli negli step successivi del film.
Tutte scelte legittime, beninteso, ma a che pro?
Non dubito che "Boyhood" possa comunque emozionare qualche spettatore sensibile agli argomenti trattati, magari qualche padre separato. Io ho rinunciato all'ultima mezzora, senza perdere il sonno.
Voto: 5,5.
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