Regia di Richard Linklater vedi scheda film
Crescita di un normale ragazzo texano dalla scuola al college, dagli amichetti d’infanzia ai primi amori. Linklater realizza la versione gentile di L’occhio che uccide, seguendo con naturalezza il reale progresso di un interprete attraverso dodici anni: una scommessa coraggiosa, un’impresa dal punto di vista logistico. Da quello narrativo, invece, bisogna riconoscere che il ritmo è blando; ma mi rendo conto che ha poco senso fare un rimprovero simile a un film che si propone di raccontare la vita senza tagliare le parti noiose e che anzi evita deliberatamente di mostrare i principali snodi della vicenda, nascondendoli fra le ellissi. Anche la grande storia (l’elezione di Obama e poco altro) resta sullo sfondo, come è giusto che sia per chi non vi partecipa in prima persona. Semmai va detto che non c’è solo il ragazzino: ci sono anche una sorella vispa e due genitori separati, che hanno fatto il possibile per crescere i figli pur commettendo molti errori; anzi, forse i personaggi più interessanti non sono i giovani ma gli adulti: lei abbonata a uomini sbagliati e infine vittima della sindrome del nido vuoto, lui che trova la serenità accanto a una nuova compagna. Azzeccatissimo il finale, che lascia che la vita continui al di fuori dello schermo.
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