Regia di Richard Linklater vedi scheda film
BERLINO 2014 - ORSO D'ARGENTO PER LA MIGLIOR REGIA
Cinema che insegue la vita. Cinema che dura una vita, o comunque gran parte di essa. E in tal modo rileva i cambiamenti, le trasformazioni che il corpo subisce con la crescita o con la vecchiaia. Registra i mutamenti degli equilibri familiari (sempre fragili) e le trasformazioni sociali ed etiche che coinvolgono i nostri personaggi, avvenimenti positivi e negativi che la vita pone innanzi ai nostri protagonisti, le svolte epocali, sentimentali, emotive che rendono la vita un fiume impetuoso sempre imprevedibile ed insidioso, ma che sa talvolta regalarci gratificazioni e successi personali magari intimi e sconosciuti agli altri, ma che ci aiutano a vivere o a sopravvivere.
Richard Linklater, gran regista, fine indagatore delle impercettibili sfaccettature della mente, del carattere, dell’intelligenza e della curiosità di un’umanità che non si arrende ai destini più avversi, compie uno sforzo titanico lungo almeno dodici anni: lo estrinseca nel riprendere, per un periodo limitato di giorni ogni anno, le fila del discorso avviato a proposito di un nucleo familiare, partendo da un canovaqccio di sceneggiatura e proseguendo con i quattro protagonisti anno dopo anno, incentrando la sua analisi in particolare su un bambino di sei anni, sul suo universo, composto da madre, padre separato e la sorellina. Seguendo il ragazzo fino al raggiungimento della maggiore età.
Un po’ l’opposto di quanto è successo nel trittico sulla nascita, il ritrovamento e la continuazione di un amore, rappresentato da tre film in tre decenni: Prima dell’alba ('94), Prima del tramonto ('2004), e del recente Before Midnight (2013).
Qui infatti un periodo di tempo circoscritto a poche intense ore di passione (e parole, parole, parole), veniva sviscerato con una preparazione meticolosa ed una lavorazione di diverse settimane. In Boyhood invece, dodici anni di vita, una intera crescita, maturazione fisica e mentale, vengono monitorati anno dopo anno in un lavoro costante, minuzioso che tuttavia globalmente occupa minor tempo di quello realmente trascorso dall'inizio della vicenda al suo epilogo.
Un’opera titanica dunque, che prevede una collaborazione fedele da parte di un manipolo d’attori che crede al progetto almeno quanto il suo autore. Una tendenza di cui da tempo si parla, con altri autori già al lavoro su altrettante titaniche rappresentazioni che attraversano anni o decenni.
Il risultato è stupefacente, perché Linklater, senza procedere a stacchi pesanti, ci filma uno scorrere della vita durante la quale i personaggi crescono, si sviluppano od invecchiano con lo stesso ritmo naturale di coloro che interpretano i vari ruoli.
Intanto la vita scorre, le famiglie si disfano, si ricompongono, i nuclei ad essi legati si ampliano e si allargano: il fiume della vita procede con i suoi drammi e le sue gioie, lento, inesorabile, senza picchi eclatanti o colpi di scena, dato che parliamo di vita reale o di qualcosa di molto simile ad essa.
Ellar Coltrane cresce nel film, per il film e per se stesso, così come la simpatica Loreley Linklater, figlia del regista, mentre Patricia Arquette non si preoccupa di imbolsire, ingrassare e poi dimagrire secondo ritmi naturali che la rendono donna e attrice matura più di molte sue colleghe sfigurate dal bisturi. Ethan Hawke, attore intelligente e presenza fissa o quasi con Linklater, impersona un padre che è maturato troppo tardi o comunque non in tempo per poter apprezzare le gioie di una paternità caduta dal cielo più che desiderata, e la sua prova è impeccabile come quasi sempre accade.
Orso d’argento per la miglior regia a Berlino: un premio meritatissimo, doveroso, pertinente, per un film rivoluzionario che darà vita ad un filone.
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