Regia di Alex Garland vedi scheda film
(S)EX MACHINA: Lolite robotiche, un nerd-cavia e un dio-padre incestuoso.
Più che per Ava il test è per gli spettatori. EX MACHINA punta a darci l'esperienza realistica del primo contatto e delle incerte (ignote?) emozioni che potrebbe suscitare il rapporto con un attraente androide dell'altro sesso. Lo sviluppo dell'intreccio poteva dare sicuramente di più per ciò che riguarda l'esplorazione di tale rapporto, ma quel che c'è è condotto con meticolosa cura per i dettagli e soprattutto per le atmosfere, ambigue, dense e destabilizzanti, compatte e senza cedimenti (allungate su interni ed esterni solenni e senza tempo), come si conviene ad un evento epocale che rappresenta però anche un salto nel vuoto per l'evoluzione dell'emotività umana.
Ava è concepita e assemblata ad arte. Sorta di lolita robotica senza malizia apparente, età incerta ma matura quanto basta per includere nel quadro l'attrazione sessuale. Occhi grandi ed espressioni spaurite che possano sollecitare empatia e istinti protettivi. E non ultima la scelta di un attrice non troppo nota per interpretarla, che una star avrebbe rotto l'incantesimo di trovarci di fronte a un prototipo, a una nuova Eva con le fattezze di una ragazza qualsiasi.
Anche il suo aspetto biomeccanico può avere una specifica funzione nel test. I meccanismi a vista e i lievi rumori che ne accompagnano i movimenti hanno forse l'intento di impedirci di dimenticare che quel viso umano appartiene a un'intelligenza artificiale. Il punto è stimolare l'insolito coinvolgimento degli spettatori nei confronti di un androide, evoluto e piacevole, ma pur sempre evidentemente robotico.
In questi termini è sicuramente un test interessante e riuscito (almeno su di me). Da un lato Ava smuove veramente empatia, tenerezza e "torbida fascinazione" ( il motivo del giocattolo sessuale è chiaramente parte del quadro e in maniera piuttosto onesta e aggressiva: il creatore e primo proprietario di un androide ha infine scelto per sè una geisha muta...), dall'altro lato però sui suddetti sentimenti si moltiplicano ombre e inquietudini nuove. Il dubbio che non si possa avere un rapporto umanamente normale con una creatura che ha capito di essere più dotata del suo creatore. Il dubbio che la coscienza di un'intelligenza artificiale finirà per imitare anche il peggio dell'essere umano. Il dubbio che nel gioco della seduzione non si possa vincere con qualcuno che non sai se prova qualcosa, se mostra solo i segni esteriori di chi prova qualcosa o se finge di provare qualcosa per convenienza (qualcuno che inoltre riesce a leggere le microespressioni).
Tutto questo moltiplica l'incertezza dei rapporti nel laboratorio ai confini del mondo, dove già da subito c'è tensione e sospetto tra il candido programmatore che deve testare Ava e il geniale, insondabile, irritante inventore che l'ha convocato (bravissimo Oscar Isaac, completamente trasformato anche per presenza e mimica rispetto al Llewyn dei Coen). Laboratorio dove già aleggiava il disagio per il rapporto tra l'inventore e la geisha/schiava, per il piacere coniugato freddamente col possesso nel momento in cui ciò che possiedi si sta rivelando senziente. Ne esce un gioco d'astuzia e di potere tra intelligenze artificiali e naturali in cui a far la differenza sono i sentimenti che nascono e muoiono, ostacolano e aiutano.
Fantascienza vera, solida, conturbante (anche se dal passo lento), che prevede scenari e ne scava gli infidi riflessi sull'intimità umana. L'ipotesi che l'evoluzione robotica possa coincidere con un'involuzione umana, con un deterioramento di empatia e con rigurgiti di sessismo (schiavista) è plausibile e aggiunge spigoli distopici compensando la nascita di una personalità androide che deve restare (saggiamente e piacevolmente ) un vulnerabile, delicato ma inquietante enigma. Alex Garland sceglie di non spingersi troppo a fondo nel torbido del sesso ma lo usa come suggestione per sfruttare al meglio l'incertezza che il rapporto tra sessi può aggiungere ai misteri della nascita e dell'evoluzione di una coscienza artificiale. Segno tangibile di una scrittura fine che restringe volutamente il focus sul momento irripetibile di massimo dubbio e attesa, riuscendo in tal modo a dar volume, atmosfera e importanza appropriata all'alba di un' imprevedibile coscienza umanoide (e perdendo forse anche qualcosa, come accennavo, rispetto ai possibili sviluppi... ma è più che altro una questione di scelte, la coperta è corta).
Interessante e scaltro anche il modo in cui Garland tratta gli inevitabili motivi dello scienziato che gioca a fare il dio e del padre-creatore. Inserendoli nei dialoghi tra l'inventore e il programmatore ottiene l'apparente risultato di demistificarli, portandoli su un piano di consapevolezza che suona molto realistica. Così facendo però ovviamente non ne annulla la presenza e i riverberi ma anzi, messi in bocca all'inventore, questi motivi acquistano sfumature oscure, risuonano stridenti e provocatori quasi prefigurando la scelta o la coscienza di essere una divinità malevola e noncurante o addirittura un padre incestuoso.
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