Regia di Fatih Akin vedi scheda film
VENEZIA 71. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA - CONCORSO
Epopea del viaggio, fuga verso ovest per ricongiungere una famiglia spezzata da una sanguinosa guerra civile, The cut segna il desiderio del regista turco Fatih Akin di dire la sua su un episodio tra i più vergognosi della recente storia della Turchia, e che lo imbarazza ed inorridisce appunto in quanto turco: l'eccidio della popolazione armena. Occasione propizia ed opportuna anche per terminare una trilogia che dopo l'amore de La sposa turca, la morte de Ai confini del paradiso, ci parlasse del Diavolo, del male, in una delle sue più emblematiche rappresentazioni: la guerra fratricida che genera stragi incondizionate e morti cruente e per il puri piacere di uccidere, sradicare, cancellare.
L'epopea dunque, anche questa dal sapore western come il riuscito Loin des hommes, pure lui a contendersi il Leone d'oro, e ambientato nell'altipiano algerino: l'epica della sopravvivenza prima, grazie alla magnanimità di un uomo turco che finge di sgozzare il nostro protagonista ed in realtà lo priva “solo” della parola recidendogli le corde vocali, conduce un giovane padre e marito amorevole alla ricerca di ciò che è rimasto della propria famiglia: un brandello prezioso che lo spinge, attorno al 1915, ad un viaggio da Aleppo all'Havana, poi nel Missouri, quindi tra i freddi del Nord Dakota per riunirsi finalmente e ritrovare le gemelle monozigote sue figlie, o ciò che di loro è riuscito a rimanere indenne dalle insidie di un'umanità rabbiosa, e degli eventi naturali mossi dal destino e dal fato.
La narrazione scorrevole e la tematica forte rendono il film appassionante e scorrevole, drammatico e teso, e la vienda una delle molte epopee della salvezza che vedono alla fine premiato il nostro combattuto e sofferto protagonista. Tahar Rahim è ottimo e convncente come al solito, anche se il suo aspetto, immutato nel corso degli anni, lo rende forse realisticamente un padre sin troppo giovane per risultare anagraficamente credibile in rapporto alla figlia superstte ritrovata a fine pellicola.
Girato in inglese con mezzi notevoli e la collaborazione del regista armeno Atom Egoyan, che ha condiviso materiali e costumi utilizzati per il suo sofferto e sentito Ararat, The cut (titolo che si riferisce, tra le altre cose, al taglio praticato alla gola del protagonista, evento drammatico ma che gli ha consentito comunque la sopravvivenza), è un importante e riuscito, nonostante qualche meccanicità e alcuni momenti scanditi da episodi di raccordo che inducono un po' ad incespicare il corso della vicenda.
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