Regia di Fatih Akin vedi scheda film
Ha ragione, secondo me, chi ha scritto che a un certo punto il film di Akin diventa una specie di Dagli Appennini alle Ande. Peccato, un'occasione persa, a maggior ragione perché il film sul genocidio degli Armeni era nelle mani di un regista di nazionalità turca, sebbene nato e vissuto in Germania. Il problema è che mi sembra che esistano due Akin: uno quello di coraggiosa sgradevolezza della Sposa turca, l'altro quello di insulsa carineria di un film come Soul Kitchen.
Nonostante qualche immagine riuscita, il film affonda fin da quasi subito in un eccesso d'enfasi, tanto da far apparire La masseria delle allodole dei Fratelli Taviani un esempio di sobrietà ed efficacia.
Gli interpreti sono tutti volenterosi e credibili nei rispettivi ruoli, ma il racconto settimanale di stile deamicisiano non si addice al regista di origine turca, che al suo esordio nel lungometraggio (con Solino, del 2002) ci dette una saga familiare tra la Puglia e quella Duisburg dove qualche anno fa i clan calabresi hanno offerto una terribile prova di atrocità.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta