Regia di Fatih Akin vedi scheda film
Il genocidio armeno, questo sconosciuto. Prima di parlare di The Cut di Fatih Akin, mi viene naturale chiedermi quanti di noi ricordino il primo doloroso genocidio del Novecento, quello che realizzato dai Turchi con l’appoggio dei tedeschi provocò la morte di migliaia e migliaia di armeni, colpevoli di non voler rinunciare alla religione cattolica per sposare l’islamismo. Quanti di noi sanno come siano andati veramente gli eventi, cosa ne sia stato dei sopravvissuti e cosa invece dei cadaveri? Perché a tutt’oggi non esiste nessuna lapide che ricordi quei campi di concentramento? Perché i colpevoli di tale massacro di massa non sono mai stati indagati e puniti, conservando in taluni casi posizioni di potere?
The Cut, il taglio, è quello delle corde vocali che subisce il protagonista Nazaret, un fabbro armeno che all’improvviso vede estirpare le radici del suo essere, delle sue abitudini e dei suoi affetti, dall’esercito turco. Condotto dapprima in un campo di lavoro forzato e separato dalla moglie e dalle due figlie gemelle, Nazaret sarà lasciato in vita da un sussulto di pietas provato da colui che avrebbe dovuto ucciderlo tagliandoli la gola. Aggrappandosi alla speranza e guardando il mondo con occhi nuovi, attraversa Paese e difficoltà con la speranza di ritrovare i cari: lungo il cammino, è testimone di atrocità, barbarie, stupri, punizioni e vessazioni di ogni tipo, prima di arrivare a Ras al-Ayn, il luogo dove si illudeva di riappropriarsi della propria vita. Morte, morte e morte, è quello che invece trova. Nuove peregrinazioni, qualche aiuto improvviso del fato e la visione di Chaplin in Il monello, il “muto” Nazaret decide di far del ritrovamento delle due figlie, che scopre ancora in vita dopo la fine della Prima guerra mondiale, la sua unica ragione di vita. Scontrandosi con le difficoltà legate al suo modo di comunicare, alla sua situazione economica e a nuove discriminazioni, arriverà negli Stati Uniti dopo esser passato per Cuba, sulle tracce dei viaggi della salvezza che molti armeni affrontarono per ripartire da zero.
Scorrevole nonostante l’eccessiva durata, The Cut sembra essere pensato appositamente per piacere al pubblico. Akin dosa sapientemente sentimentalismo, storia, epica e citazionismo cinematografico, per costruire la storia di un novello Charlot, chiamato a interpretare il ruolo di Ulisse e a girovagare per il mondo prima di trovare un nuovo posto da chiamare casa. Senza voce, senza speranza e senza affetti, il protagonista Nazaret è il simbolo di tutte le guerre insensate e delle loro conseguenze. A rendere il discorso ancora più universale è la scelta di non far parlare il personaggio per quasi tutta la durata del film.
Il taglio delle corde vocali, seppur avvenuto per sbaglio, diventa dunque via di salvezza, regalata da un turco. Turchi e armeni, sopraffattori e sopraffatti, inoltre, non sono mai simbolo del male e del bene estremizzati. Entrambi i popoli sono connotati da tratti benevoli e da tratti malevoli e Nazaret stesso, interpretato da un convincente ma a tratti acerbo Tahar Rahim, ne è testimone. Con sfondi e paesaggi che cambiano in continuazione e una fotografia che sposa in toto la storia senza mai sovraccaricarla, The Cut è di gran lunga il progetto più ambizioso della carriera di Akin e i risultati fortunatamente lo ripagano, nonostante qualche retorica di troppo.
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