La cosa che mi è piaciuta di più (il mio è sempre un giudizio essenzialmente morale) è l'attaccamento alla vita del protagonista gravemente ammalato e delle persone a lui vicino. Un film, insomma, implicitamente contro l'eutanasia (ne ricordo un altro, non mi sovviene il nome, in cui l'unico scopo di vita del protagonista in analoghe condizioni era quello di riuscire ad uccidersi).
Però d'altro canto ci sono l'ingratitudine di lui nei confronti della moglie, la figura più bella di tutto il film, che l'ha amato contro ogni ragione ed ogni speranza e, sempre irragionevolmente, le ha dato 3 figli; l'ostinato ateismo da scienziato di lui, e addirittura il rifiuto del cavalierato propostogli dalla regina inglese!.
Rientra nel "filone" dei film sull'amore nella malattia. E forse la cosa che più mi fa riflettere è questa: il protagonista, diagnosticatigli 2 anni di vita, ne ha poi vissuto almeno altri 50. Quante volte diagnosi di questo tipo, anche per il progresso della medicina, risultano disattese? E quante volte la psicologia del malato e di chi gli sta intorno è influenzata enormemente, nel bene e nel male, da queste previsioni? (come dico io, la paura fa novanta, e quella della morte nelle persone di buon cuore può rendere incredibilmente altruisti e generosi).
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