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La teoria del tutto

Regia di James Marsh vedi scheda film

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La recensione su La teoria del tutto

di SredniVashtar
3 stelle

Hawking ha pensato e scritto molte cose interessanti, alcune fondamentali. L'abilità di sceneggiatura e regia è di non farvene intravvedere neanche una.

Ingredienti: la carne, il soffritto, le spezie, ovvero un personaggio pubblico problematico e/o con problemi, ma di indubbia genialità; il contesto familiare-affettivo in cui immergerlo ed eventualmente estrarlo alla bisogna, per dare aria alla cottura;  l'ambiente accademico-scientifico che dai primi “però!” vira ai successivi “oooh!”. Ed eccovi pronto A Beautiful Mind, servito bello caldo. No, un momento: questo è un altro… ah, sì, sì: volevo dire La teoria del Tutto. Mi ero confuso. Ma se mettete Eddie Redmayne al posto di Russel Crowe, Felicity Jones a quello di Jennifer Connelly e David Thewlis come fosse Paul Bettany, dovrebbe avere lo stesso sapore, no?

No, e non solo perché manca Ed Harris. James Marsh (regia) non va oltre l’acquarello, la tinta pastello, il verde prato su cui si muovono delicate signorine in bianco. Nella imperante moda cineagiografica questa volta ci siamo persi il pepe per strada. Al sudore di Crowe corrisponde il faccino di Redmayne, non a caso a proprio agio nelle ambigue vesti di The Danish Girl. E anche quando il suo volto si deforma per la sclerosi, nient’altro cambia: tutti sorridono lo stesso. Quando si sposano, poi si separano, poi si reincontrano. Marsh deve aver visto tutti i film Disney, quand’era piccolo.

 

La teoria del Tutto non sono noccioline. Non esiste, ma tutti i fisici la cercano disperatamente, perché il problema è che meccanica quantistica e relatività generale sono incompatibili e così la Fisica è spezzata in due. Hawking, con Penrose, ha le proprie idee in merito, peraltro diverse dalla teoria delle stringhe (un altro tentativo di teoria del tutto). C’è una minima traccia di tutto ciò, nel film? No. E allora - mi direte voi e vi domando io – perché il film si chiama così?

La teoria del tutto (quella di Marsh) assomiglia a quei quadri innocui che non significano niente, appesi nei ristoranti e nei corridoi d’albergo economici, che riempiono uno spazio altrimenti vuoto. Ecco: questa pellicola ha riempito uno spazio vuoto con uno scialbo acquarello. Troppo facile concludere con il giudizio complessivo “la teoria del niente”, per cui evito. Mi limito alla teoria del poco, con britannico understatement.

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