Regia di James Marsh vedi scheda film
Uno da un film brutto si aspetterebbe almeno che fosse tanto brutto: viste le premesse, sarebbe piacevole poter dire che quel film è uno dei più brutti mai visti, e non parliamo di trash o di quei film che brutti lo vogliono essere, parliamo di film seriosi e raccatta-consensi come The Theory of Everything, ennesimo scivolone nella melassa strappalacrime del biopic peggio realizzato. Vorremmo quel putrido splendore che ci fa urlare allo scult involontario, un desiderio che ci spingerebbe, quantomeno, ad affidare a quella pellicola l'ossimorico titolo di film utilmente inutile: Avatar, La migliore offerta, il cinema ce ne ha offerti tantissimi da odiare e detestare, quelli neanche riusciti dal lato dell'intrattenimento, o quelli dal puro istinto galvanizzante che ti appiccica alla poltrona ma a posteriori, attivando la materia grigia, ti ricordano la pochezza del tutto. Film che in sostanza non lasciano freddi, che uno avrà sempre in mente per poterne parlare e sparlare, pur di far loro cattiva pubblicità. The Theory of Everything, la biografia ultradrammatica di Stephen Hawking, raccontata dalla penna della moglie dello scienziato, non rientra nel campo dei film fastosamente brutti. E' semplicemente un filmetto, un inutile e insignificante rassegna di banalità da soap opera e pseudo-tragedie da malattia (finto) terminale, un prodotto pronto a far scattare la lacrimuccia a chi ha il pianto facile ed è felice di averlo. Tra un'idealizzazione dell'inizio di un rapporto amoroso e uno sviluppo conciliante che ci fa fare sempre più stordite espressioni di dispiacere per il povero Eddie Redmayne sempre più immobilizzato e deformato, The Theory of Everything ci ricorda l'agghiacciante verità, tutt'ora esistente e sempre esistita, della banalità del "film brutto".
Di film uguali a questo ne abbiamo visti fino al vomito, ce ne vengono propinati a centinaia ogni anno, ma il problema non è tanto questo, quanto il fatto che The Theory of Everything non si distingue come film definitivamente orrido appartenente alla categoria dei melodrammoni cinematografici, ma rientra nella media, e nella mediocrità di cui le nostre sale abbondano da sempre. E forse è questo il peggio del peggio.
Patinato, tirato a lucido, stilizzato, candido e costruito ad hoc sull'insegnamento di film della stessa risma venuti a migliaia prima di lui (la formula è quella di trovare la prima storia utile per farne un'avvincente storia d'amore e di vita per strappare l'applauso), The Theory of Everything tira avanti per più di due ore la barbosa fuffa di una narrazione ridondante e stereotipata, con personaggi praticamente inesistenti, immagini di una finta eleganza tale da sfiorare la sciatteria, e - ovviamente - attori incredibili, che dànno cuore e anima per ruoli che certo non meriterebbero, ma si dovrà pur lavorare. Trovato il titolo che rappresenti meglio le conclusioni delle ricerche di Hawking, che intanto se la ride facendosi sempre più pubblicità e facendo parlare di sé prima con l'autoironia di alcune puntate di The Big Bang Theory e adesso con questa sua eroificazione che ne fa un uomo certo pregno di difetti ma così geniale da meritare dedizione totale e idolatrica, Marsch trova l'intruglio giusto per vincere un Oscar e farsi apprezzare per un po' di tempo, semplificando tanto e non aggiungendo nulla, ma estendendo solo un po' il patrimonio di musiche melense e pseudo-sentimentali da appioppare all'immagine laccata del cinema commovente. E se la noia non la smette di chiedere pietà, e di lasciare la sala, l'interesse maniacale di chi vuole arrivare alla fine dovrà scontrarsi con tutti gli ingredienti di un polpettone indigeribile ma assolutamente piatto nel suo essere pessimo, senza i degni strafalcioni che magari sono difficili da dimostrare, ma che almeno stimolano la discussione.
E invece no, de The Theory of Everything ci saremo già scordati domani, e rimarrà nei cuori di chi ha visto troppi pochi film e non conosce i gloriosi precedenti del genere. Toccherà al mondo stabilire se questo film merita un certo posto nella Storia del Cinema, quello stesso mondo che ha dato ad Avatar quel ruolo che ha (e di cui nessuno più, ovviamente, parla, perché non c'è, e non c'era, nulla di cui parlare). Ma questo film, così come molti altri prima e dopo lui, dimostra che la moda del biopic deriva dal fascino facilone e istintaneamente apprezzato delle storie vere, e dal fatto che sono brutti tempi per la morente fantasia umana.
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