Regia di James Marsh vedi scheda film
Era uno degli eventi commerciali più importanti (se non il più importante) del 32esimo Festival del cinema di Torino (presenti in sala il protagonista Eddie Redmayne, il numero uno di Universal Pictures Italia Richard Borg ed i produttori inglesi), un biopic che dalla formula non scappa (ed in casi come questo mi chiedo se poi ce ne sia realmente di bisogno e soprattutto che senso avrebbe farlo), ma che sa sfruttare tutte le sue armi, forte anche di quel tipico umorismo british che intercede spesso per donare al racconto sfumature più piacevoli (furbizia? Ok, ma decisamente attinente al mezzo).
Fin da giovane Stephen Hawking (Eddie Redmayne) manifesta capacità fuori dal normale, ad esempio quando a lui ed ai suoi compagni d’università migliori viene assegnato un compito quasi impossibile lui risolve nove quesiti su dieci in poco tempo e su un pezzo di carta stropicciato.
Purtroppo per lui la vita prevede lo scontro con una malattia che non lascia speranza alcuna per la scienza; riuscirà a superare ostacoli impossibili, costruirsi una famiglia (moglie intepretata da Felicity Jones) ed a diventare uno dei scienziati più importanti degli ultimi cinquant’anni.
Non è un’opera in grado di regalare i classici colpi di scena, ma almeno per chi ci si approccia senza aver approfondito la vita di Stephen Hawking ha in automatico tutto quanto occorre per regalare un film che sappia emozionare in maniera trasversale.
Genio, amore, dramma, tutto (ed è realmente tanto) speziato dal tipico humour inglese che sopraggiunge soprattutto per alleggerire le parti più scure (con tanto di stilettata agli americani quando il protagonista prova per la prima volta la macchina che gli permetterà di comunicare una volta persa per sempre la voce), per un equilibrio sicuramente ricercato secondo la logica della convezione.
Ma prima di tutto è un film che funziona soprattutto per le scelte a monte; James Marsh non è certo il regista arrivato dal nulla e sa gestire una materia comunque da plasmare (anche ed appunto per quanto già detto), mentre la coppia di interpreti è assai valida; Eddie Redmayne ha il classico ruolo da Oscar (scontate le parole di Emanuela Martini che lo vede come papabile candidato), già dopo trenta minuti si trova obbligato a poche movenze, ma la vera gemma è Felicity Jones.
Tra i due c’è una vera e propria scintilla emotiva, quell’alchimia che si trova raramente anche tra due attori ben più scafati; soprattutto Felicity Jones riesce ad essere emotivamente devastante sia nell’amore che nelle difficoltà, un vero e proprio colpo al cuore (sarà anche un colpo basso, come ha detto qualcuno un “ricatto” emotivo, ma è ineluttabile che valichi ogni confine dell’emozione).
Il resto lo fa la storia, il personaggio che ha superato più di un confine invalicabile (scientifico come storia e come semplice uomo malato), e la confezione classicamente impeccabile.
Una pellicola che sa dove colpire e li para, costruita con intelligenza, qualcosa è obiettivamente opinabile (soprattutto nella storia tra Stephen e la moglie per quanto comunque poi si faccia chiarezza), ma poi è difficile non farsi “prendere” dalle intepretazioni e dalle capacità del personaggio.
Semplicemente penetrante.
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