Regia di John Madden vedi scheda film
Per essere un inno al carpe diem, Ritorno al Marigold Hotel soffre di una singolare mancanza di tempismo: anziché cogliere l’attimo, prolunga i languori adolescenziali dei suoi attempati protagonisti oltre ogni durata accettabile, per poi appoggiarvi una chiusa sbrigativa. Il motto di Orazio si applica più congruamente alla capacità di afferrare l’occasione dimostrata da John Madden, che dopo il successo clamoroso del primo capitolo (nel 2012 capace di quadruplicare al botteghino la cifra del suo budget) ha rimesso insieme la squadra - al netto di Tom Wilkinson, graziato dalla morte del suo personaggio - e riaperto i battenti dello scalcinato albergo di Japur, accogliente sede per anziani. Imbastendo per ciascuno dei personaggi nuove trame da soap opera over 70: gelosie e corteggiamenti, tenerezze inseguite o negate, la vecchiaia come età della rinascita e della riscoperta della passione. Alla compagnia di biancocriniti si aggiunge Richard Gere, nei panni di un simil-se stesso che a ogni sorriso pare chiedere scusa per la trasferta alimentare. Maggie Smith e Judi Dench si mangiano il resto del cast in un’alzata di sopracciglio; lo script pare ignorare deliberatamente che esiste un limite al numero di battute su tè e biscotti che si possono far pronunciare alle signore inglesi; Madden confeziona con la consueta, pigra patina esotica da grande pubblico, aggiungendo numeri di ballo bollywoodiani per fare il fiocco al pacco.
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