Regia di Arnold de Parscau vedi scheda film
Una riva erbosa ed opulenta lungo un tranquillo fiume gonfio d'acqua. Dall'alto la cinepresa riprende, seminascosto dalla vegetazione rigogliosa che lo occulta altresì ad un gruppo di canoisti energici e mattinieri, il corpo disteso di un uomo, apparentemente privo di sensi, morto o svenuto non sappiamo ancora. Poi una ripresa più rasente ci rivela che il corpo appartiene ad un individuo robusto, di mezza età, che una regia attenta e morbosa si preoccupa di mostrarci in molti particolari: un tipo vestito elegantemente, seppur sporco, stropicciato e pure senza scarpe. Risvegliatosi da un sinistro torpore, l'uomo, un distinto quarantenne, se non bello almeno affascinante o piacente (è l'attore Denis Menochet, bel volto da noir o polar), riesce in qualche modo a far ritorno alla sua stanza d'albergo, la quale a sua volta rivela senza pudore le tracce inequivocabili di un festino tenutosi la sera precedente, magari per festeggiare un successo lavorativo e professionale, chissà....
Ma proprio in quella disordinata stanza l'uomo si rende conto, notando un lembo sanguinante della sua camicia, che sulla schiena egli porta una vistosa fasciatura: la quale racchiude una torva, sinistra cicatrice, rivelatrice della “ablazione” annunciata al plurale nel titolo rivelatore. Gli è stato asportato un rene, diagnosticherà una avvenente bionda dottoressa (Florence Thomassin), amica intima, anzi molto intima dello sventurato protagonista, che da alcune circostanze ci sembra capire possa trattarsi di un rappresentante di medicinali.
In crisi totale, l'uomo chiede ed ottiene un congedo di un paio di giorni, addentrandosi a capo fitto e tenacemente nel tortuoso cammino che lo porterà a scoprire gli autori dell'espianto e le motivazioni che si nascondono dietro quell'efferato gesto, destando i sospetti della gelosissima quanto avvenente moglie (per forza, è Virginie Ledoyen, sempre molto seducente. Non si può ovviamente dire nulla di più, ma il thriller livido e fosco procede non senza furbizia giocando sull'attesa e giostrando le sue carte con una abilità tattica che non può annoverarsi tra le sue più spiccate qualità. Un thriller cinico e cattivo, freddo come le lame dei bisturi che lacerano carni innocenti e giovani, vittime inconsapevoli di un mercato dell'orrore.
Il cinema franco/belga ha illustri ed anche recenti precedenti di cinematografie incentrate su leggende metropolitane o storie macabre che prendono spunto da fatti veri per raccontarne altri ancor più inquietanti, in grado di alimentare dubbi sul fatto che si tratti di vicende di fantasia: penso allo splendido e macabro Kill me please di Olias Barco, al gradguignolesco strepitoso Au nom du fils di Vincent Lannoo (maltrattato quest'ultimo, come pure questo Ablation, dalla critica ufficiale francese); per non parlare delle origini di Alexandre Aja col suo teso Alta tensione, e di La Meute di Franck Richard, titoli che ci fanno sconfinare nell'horror più puro.
E a proposito di La meute, il poco più che cameo di Yolande Moreau, e la presenza folle di Philippe Nahon dall'occhio sempre più spiritato (guarda caso appariva in modo travolgentemente pertinente pure nel già menzionato Au nom du fils) contribuiscono a creare le giuste inquietudini in questo fosco noir sulla perversione, deviazione ed incontenibilità della razza umana.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta