Regia di Philippe Lacheau vedi scheda film
Trentenni Peter Pan, sogni di rivalsa, responsabilità rimandate a un ulteriore settembre, alcol a fiumi, smartphone a lampeggiare ogni secondo, donne che ritornano da un mitico passato, motori fuori controllo, scomparse e detour, feste tutt’altro che meste e conseguenti catastrofi: sempre tutto in un’altra notte da leoni, con le usuali lacune narrative da colmare, gli eccessi d’ogni genere, una casa da distruggere e una piccola videocamera in mano a garantire tracce di memoria, come in Project X. Ma siamo in Francia, e i protagonisti di questo film provengono da programmi tv e webserie di tendenza, laboratori per i comici che un giorno sostituiranno Dany Boon e Christian Clavier sul trono del botteghino: si vedano gli sketch televisivi (sotto l’egida di Canal+) di La bande à Fifi, la microserialità di culto di Bref, le assurde parodie web di Palmashow. Eppure, nonostante i giovani in gioco, Babysitting è tutt’altro che aria fresca, ma uno stantio rifacimento delle trasgressioni demenziali americane, con un sentimentalismo conservatore che gli originali Usa sanno far apparire come ineludibile regola di genere e che qui sa solo di melassa compromissoria. Interessante, comunque, che in un film che s’apre su una pagina Facebook e cerca grevemente di parlare i linguaggi del suo tempo, l’obiettivo del protagonista sia quello di vedere il proprio romanzo a fumetti pubblicato su carta, portato al successo da una vera casa editrice: il mondo è 2.0, ma i sogni, quelli, sono ancora analogici.
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