Regia di Philippe de Chauveron vedi scheda film
“Cosa abbiamo mai fatto al Buon Dio?”...per meritare questo....si chiede una affiatata e benestante coppia sessantenne in macchina, una sera che, più di altre, la tensione e lo stress hanno suberato i limiti della rassegnazione e dell'umana accettazione.
Dovete infatti sapere, e lo saprete non appena avrete modo di visionare la leggera e divertente commedia, che la famiglia di Claude e Marie Verneuil, è composta altresì da ben quattro figlie, tutte in età da marito: belle, realizzate, indipendenti, ma da maritare. Se non ché le prime tre convolano a nozze a distanza di un anno una dall'altra: la prima,prende in sposa un algerino, la seconda un ebreo di Tel Aviv, la terza un giapponese.
Ora anche per una famiglia aperta e moderna come i Verneuil, un matrimonio “tradizionale”, magari pure religioso secondo il rito cattolico, non sarebbe una cosa ingrata da desiderare per l'ultima figlia: che tuttavia si innamora di un cattolico, certo, come tenterà di sottolineare lo spassoso parroco (dalla risata nervosa e irrefrenabile davvero esilarante) a cui si rivolge sconsolata Marie, ma di origine costadavoriana: e dunque nero come la pece, per non usare mezzi termini.
Gran successo in patria nel periodo primavera-estate, Qu'est-ce qu'on a fait au Bon Dieu? Risulta una commedia degli equivoci e del non detto spassosa e divertente, che non rinuncia ad affrontare, pur con lo spirito e la leggerezza che si confanno ad una commedia adatta a strappare consensi unanimi, il lato più serio e se vogliamo pure sottilmente drammatico della questione, e che si può sinteticamente riassumere in una breve frase, secondo la quale “ognuno è razzista al proprio paese”, rapportandosi al proprio paese, alle proprie origini, al proprio orgoglio nazionale.
Singolare che il paese più multietnico ed “organizzato” dell'Europa nei confronti degli stranieri e delle sue ex colonie, si cimenti in questa sorta di riproposizione arrotondata all'eccesso de “Indovina chi viene a cena”. Il risultato è almeno piacevole, con qualche caduta nel semplicistico e qualche laccatura scenografica o improbabilità di situazioni, come ad esempio la rappresentazione della casa di provincia del capofamiglia, un villone da cinema che assomiglia alla Casa Bianca, e tuttavia vede spiazzati i coniugi nell'accogliere i genitori dell'ultimo sposo, costringendoli a dormire in una angusta soffitta.
Peccati veniali per una commedia di successo che ripropone tematiche “ambientali” (nel senso di ambientazione ed accettazione del diverso, della tolleranza verso altri usi e costumi) che avevano già fatto la fortuna di opere come Giù al Nord. Cristian Clavier grande mattatore, ironico, dispotico e mai domo come da copione.
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