Regia di Yilmaz Erdogan vedi scheda film
Perché non rimanga solo un sogno. Questo film è dedicato a tutti i poeti perduti. Quelli che sono passati attraverso la vita come un soffio; o forse non sono mai veramente esistiti, perché a sfiorarci è stato soltanto il loro temerario pensiero di essere altro. Un farfalla, magari. Non v’è niente di più leggero dell’inconsistenza. È quel nonnulla che rappresenta il volto raro e nobile della futilità. Agli inizi degli anni quaranta, Muzzafer e Rustu sono due ragazzi turchi che compongono versi, cercano l’amore e combattono una malattia che non perdona, e che li sta uccidendo lentamente. Sono poveri, ma hanno la testa piena di idee trasparenti come l’aria, ed il cuore colmo di palpiti intensi e disperati. Non riescono a vedere pubblicate le loro opere, né a realizzare le proprie aspirazioni sentimentali: i loro desideri vagano nel vuoto, camminando uno accanto all’altro, verso la stessa rivista di letteratura, incontro alla stessa ragazza dai capelli scuri e ricci. Si faranno ricoverare insieme in sanatorio. Conosceranno la medesima infelicità. Moriranno in giovane età, a pochi anni di distanza l’uno dall’altro. A raccontare la loro storia è il loro maestro, che ebbe maggiore fortuna, divenne un uomo anziano, ed anche uno scrittore di successo. Nelle sue memorie, egli ripercorre il loro breve viaggio attraverso una fiaba striata dalla sofferenza, lungo la scia di un’arte faticosamente strappata al dolore, diluita negli strascichi della frustrazione, e dunque silente, smorta, morbida come spuma. Sullo sfondo, gli echi del secondo conflitto mondiale sono niente più che un controcanto di tristezza, con quei remoti proclami radiofonici che recano l’impronta dell’assurdità delle distinzioni di razza e nazionalità, mentre la carne, nella realtà, sanguina tutta dello stesso amarissimo sangue. Muzzafer e Rustu sono la gente vera, a cui non è stato regalato nulla, ma a cui tutto può essere tolto, e per la quale ogni avere è immateriale, pur essendo il frutto di una durissima conquista. Suzan, figlia del sindaco della città, è affascinata dal loro mondo pericoloso e difficile, nel quale la sopravvivenza è un’avventura di tutti i giorni, talvolta autenticamente disumana: ed è per sperimentare quel limite che decide di travestirsi da uomo, sporcarsi la faccia di carbone e scendere in una miniera. Per gioco, si fa accompagnare da Muzzafer in quel luogo infernale, imitando l’eroina del dramma teatrale che Rustu non ha ancora finito di scrivere, e che però sta già provando a mettere in scena. La strada procede al contrario, svolta in direzioni sbagliate, oppure si ferma a metà: è l’avanzare esitante e spezzato di un’inquietudine che non trova compimento, né in una fantasia pacifica, né in una bellicosa ribellione. Questo racconto, i cui protagonisti sono ispirati a personaggi reali, presenta il disagio sociale e lo sbandamento storico come un tessuto umido e logoro sul quale germoglia una magia cruenta, eppure dolcissima, in cui persino gli elementi più ripugnanti, come i topi, i pidocchi, i germi appartengono all’humus di una fecondità emotiva destinata all’immortalità. La sua anima è un effluvio terrestre ma impalpabile: ed è una rosea, odorosa nebbia di romanzesca illusione.
The Butterfly’s Dream ha concorso, come rappresentante della Turchia, al premio Oscar 2014 per il migliore film straniero.
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