Regia di Roy Andersson vedi scheda film
C'è una frase, che non ricordo dove ascoltai, che dice così: "Aveva gli occhi talmente strabici, che alla fine erano perfettamente allineati". Ecco, al termine della visione del nuovo film di Andersson, credo che gli si adatti come un guanto. Un guanto, però, di quelli bucati. Mi spiego: qui non siamo certamente di fronte a un film perfetto, l'umanità di Andersson, questi piccoli uomini beckettiani, spesso sono nello stesso tempo protagonisti e sfondo d'immagini cinematografiche statiche e inerti, inchiodati nella vita (e nella morte) con la loro disperazione grottesca. Sono dei pesci che nuotano sotto uno strato di ghiaccio. Dopo un inizio fulminante, quello dei tre episodi che raccontano la morte con un meraviglioso humour nero, il film si blocca in un loop di storie che a fatica s'incastrano e spesso con motivi alquanto misteriosi e forzati. Si scende nella storia della Svezia, s'inciampa sui gradini di un amore sfortunato, si sorride dei due venditori di scherzi di Carnevale (questi veramente riusciti), cercando di appigliarsi al loro laconico vagare, ma spesso si viene lasciati soli, ognuno alla ricerca di una propria idea su un film di ardua catalogazione. Ma non è questo, forse, uno dei motivi dell'arte? La libera interpretazione, lasciare che un'opera arrivi o non arrivi al cuore di ogni essere umano? Questa riflessione, sul mio ramo e senza essere un piccione, mi spinge a lasciare un voto di quasi neutralità, a quest'opera senz'altro coraggiosa ma non so quanto meritoria, addirittura, di un Leone d'Oro. "Un Piccione..." è un film strabico, divergente, è un freak show arrivato in città con i suoi clown tristi, con la loro faccia di biacca, i loro denti finti da vampiro, in attesa di succhiarvi via la vita o di scomparire alle prime luci dell'alba.
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