VENEZIA 71. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA - CONCORSO - LEONE D'ORO PER IL MIGLIOR FILM
Scoprire Roy Andersson ora, cioè molto, troppo tardi, come fosse un nuovo autore, e' una circostanza che, colpevoli o meno, è legata da un lato alla sua rarefatta produzione cinematografica, dall'altro al fatto che questa rarità è stata fino ad ora pressoche' completamente ignorata nel nostro paese, o almeno gravemente trascurata.
E da grande soddisfazione e sorpresa scoprire questo "giovane" talento settantenne svedese, forte di uno stile ovattato e rarefatto unico, fatto esteticamente di colori pastello e lunghe inquadrature d'interno, di piccole storie frammentarie sarcastiche e fradice di un umorismo tagliente che ironizza su comportamenti e stati d'animo di una società forse troppo arrivata e benestante.
Tutto nell'ambito di un puzzle i cui protagonisti ritornano a scandaglio a formare un puzzle di ossessioni, infelicità e soluzioni raffazzonate e comiche per debellare una malinconia latente che odora di estinzione e di voglia di farla finita, e che esprime al meglio e con un sarcasmo tagliente una mentalità, un carattere, un modo di concepire la vita tutte nordiche, condizionate non poco da fattori climatici che finiscono inevitabilmente per incidere su carattere e tendenze comportamentali. Insomma il mondo colorato a pastello di Andersson, che ha precisi meravigliosi riferimenti pittorici e ci ricorda non poco lo stile surreale dell'altro meraviglioso scandinavo Kaurismaki.
Le storie che si susseguono e vengono riprese via via, hanno come epicentro due venditori di "oggettistica da divertimento", che si estrinseca in banali travestimenti carnevaleschi come denti da vampiro, un sacchetto che sghignazza ed una maschera da vecchio mostro tipo "Non aprite quella porta". Ma la tristezza, il rimpianto, l'agonia interiore pervadono, non senza una crudele irresistibile comicità, i due venditori, afflitti da ogni tipo di problema fisico e morale o sfortuna.
Attorno a loro, in bar disadorni ma colorati, una fauna di personaggi che comprende un re galvanizzato dalla battaglia, che fa avances ad un giovane e bel cameriere, beve solo acqua e poi torna quasi morto assieme ai pochi superstiti della sua disastrosa inutile campagna conquistatrice; poi alcuni interni domestici in cui si consumano rapide dipartite o meschinerie legate ad esse, come contese per una borsa piena di valori trattenuta fermamente dall'anziana moritura e ambita dai tre figli scaltri e calcolatori; o individui che telefonano ai propri cari complimentandosi di una felicità ed una serenità a cui ormai non crede più nessuno; o ancora personaggi che discutono sul fatto che sia mercoledi piuttosto che giovedi, riuscendo quel banale particolare a dar vita ad un barlume di dialogo che possa riavvicinare il singolo ad una comunità che non ha più nulla di interessante da comunicare.
Grande stile, musica ossessiva e comica che inneggia ad un "Glory glory alleluja" (è il classico "John Brown" tradotto in versione svedese con tanto di coretti simil-alpini? che spasso!!!!) che ieri sera campeggiava alla presentazione ufficiale e faceva eco nel cielo uggioso che sovrastava inesrabilmente tutto il Lido. Questo "Piccione seduto su un ramo a riflettere sull'esistenza" e' una delle perle del concorso di quest'anno, ultimo film di una trilogia che dura da vent'anni e che personalmente cercherò in tutti i modi di completare prima possibile, con qualsiasi mezzo, ufficiale o meno.
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