Regia di Mia Hansen-Løve vedi scheda film
Che quella elettronica sia una musica che si addice ai gusti dei francesi è cosa nota almeno a partire dagli anni settanta, per la presenza di un’artista come Marc Cerrone, vero e proprio precursore del movimento attraverso una serie di dischi che furono in grado di rivaleggiare con i mastodonti della disco music americana. Una tendenza, che negli anni a venire è riuscita a resistere alle mode del momento, arrivando a conquistarsi la propria fetta di mercato grazie al successo internazionale del progetto artistico che fa capo ai Daft Punk, esponenti di punta della cosiddetta France House. Come carta assorbente il cinema prende atto dello scarto e solo in questa stagione ci presenta due film che in modi diversi testimoniano quanto abbiamo appena detto. Del primo, “The Fighters - addestramento di vita” diretto da Thomas Cailley abbiamo parlato solo qualche mese fa e in questa sede basterà ricordare quale sia sia stato il peso delle sonorità elettroniche nell’economia generale della messinscena; del secondo invece che è anche l’oggetto della nostra recensione ci apprestiamo a farlo non prima di aver ricordato che “Eden” diretto dalla regista Mia Hansen Love arriva nella sale a quasi quattro anni di distanza da quell’ “Amore di gioventù” che aveva colpito per la lucidità con cui raccontava l’educazione sentimentale della sua giovane protagonista. E proprio dal ricordo di quel film che sembra partire la Hansen Love, raccontando in qualche modo un’altra storia di formazione in cui però, a fornire gli strumenti dell’apprendistato è, manco a farlo apposta lo scenario musicale, che a partire dai novanta vede crescere e imporsi il fenomeno musicale legato appunto ai Daft Punk, veri e propri numi tutelari di Paul, adolescente il cui percorso di crescità esistenziale segue di parì passo quello artistico, rappresentato appunto dal tentativo di diventare un dj di fama internazionale attraverso la creazione di una proprio etichetta musicale.
Alle prese con una sceneggiatura che ancora una volta ha a che fare con esperienze di vita vissuta - questa volta per interposta persona, attraverso le vicissitudini capitate al fratello Sven che qui collabora in fase di scrittura - la Hansen Love non si limita a illustrare la biografia del personaggio, con gli alti e bassi che ne accompagnano i suoi sogni e le sue delusioni ma ne da un interpretazione in chiave drammaturgica, che si mantiene in equilibrio - attraverso la presenza dell'elemento musicale rappresentato dalla colonna sonora prodotta dal protagonista - tra il referto sociologico (con la descrizione dell'underground musicale e del panorama culturale entro cui si muove Paul) e il diario privato, in cui trovano spazio le relazioni sentimentali del ragazzo così come gli scompensi emotivi che derivano dalle asperità della posta in palio.
L'effetto più evidente è quello di una passione se non raffreddata, almeno tenuta a freno dalla mancanza di quel sensazionalismo alla belli e dannati che di solito contraddistingue i ritratti degli artisti o presunti tali. In questo modo, il leit motiv costituito dallo slogan "sesso, droga e rock and roll", seppur presente nella dipendenza chimica di Paul e nelle manie depressive del suo amico e collega, viene spogliato da qualsiasi tipo di compiacimento estetico e vojeristico. Così facendo, l'eccezionalità raccontata da "Eden" e la giovinezza che così bene gli corrisponde, diventano significative di una crescita esistenziale che potrebbe essere uguale a quella di chiunque altro. Senza bisogno di quella leggittimazioni ideologiche e politiche di cui la Hansen Love riesce a fare a meno e che, almeno in patria, non le consento di essere menzionata con la reputazione che invece meriterebbe.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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